Napoli, 19 settembre 2017 - Che differenza c’è tra un tubetto di ketchup e il sangue di San Gennaro? Nessuna. Prima che ci arrivi sulla testa un’accusa di blasfemia o gli insulti sboccati delle ‘parenti’ del Santo patrono di Napoli, è meglio mettere le cose in chiaro perché con il mito di ‘Faccia Gialla’ non si scherza. A dire che il sangue contenuto nelle ampolle somiglia alla salsa perfetta per accompagnare hamburger, patatine fritte e hot dog è una delle ricerche più recenti e più serie sulla reliquia.
Ecco cosa è successo quando il sangue non si è sciolto
Per secoli ci si è interrogati su cosa ci fosse nelle due bottigliette chiuse nella teca rotonda che viene agitata davanti al naso di duemila fedeli tre volte all’anno: il primo sabato di maggio in cui busto, reliquario e ampolle vengono portati in processione in ricordo della prima traslazione da Pozzuoli a Napoli; il 19 settembre, ricorrenza della decapitazione di Gennaro nel contesto delle persecuzioni anti cristiane di Diocleziano; il 16 dicembre ‘festa del patrocinio di San Gennaro’, in memoria della disastrosa eruzione del Vesuvio nel 1631, bloccata dopo le invocazioni al santo.
Non si tratta, con questa ricerca di confutare la devozione di fedeli che lo scrittore ungherese Sandor Marai definiva (appunto nel libro ‘Il sangue di San Gennaro’, pubblicato nel 1957) i ‘professionisti dell’attesa’: attesa di un miracolo (che la Chiesa ufficiale continua a definire ‘solo’ prodigio) piccolo o grande per risolvere i problemi dell’esistenza. Ma di comprendere qualcosa di più della scienza della liquefazione, del passaggio di questo liquido da solido a fluido.
Anzitutto siamo davvero sicuri che nelle ampolle ci sia del sangue? La Chiesa ha, finora, proibito l’apertura delle due boccette sigillate, ma ad inizio Novecento venne eseguita un’analisi spettroscopica (lo studio della luce riflessa dal campione, che dipende dalle caratteristiche fisico-chimiche del campione stesso): l’esperimento venne condotto utilizzando una candela e uno spettroscopio a prisma e rivelò che il fluido contenuto nell’ampolla presentava le bande di assorbimento della luce tipiche dell’emoglobina, sostanza effettivamente contenuta nel sangue. Nel 1989 l’esperimento venne ripetuto, usando stranamente lo stesso strumento di ottanta anni prima e arrivando allo stesso risultato. C’è da chiedersi perché non fosse stato utilizzato uno spettrometro elettronico né perché questi esperimenti non siano stati mai pubblicati su una rivista specializzata.
Non resta allora che l’ipotesi-ketchup. Di che si tratta? Tre studiosi - Luigi Garlaschelli, Franco Ramaccini, Sergio Della Sala - hanno pubblicato nell’ottobre del 1991 sulla rivista ‘Nature’ una pubblicazione dal titolo "Working bloody miracles" che spiegava il fenomeno dello scioglimento del sangue (o di quello che c’è nelle ampolle) con la tissotropia. I materiali tissotropici diventano fluidi se sottoposti a una sollecitazione meccanica, a vibrazioni o agitazioni come quando si fanno oscillare le ampolle davanti ai fedeli. “Le sostanze tissotropiche sono gelatine in grado di diventare più fluide, passando persino dallo stato solido a quello liquido, quando sottoposte a sollecitazioni meccaniche come vibrazioni o microurti, e che poi solidificano nuovamente quando tornano allo stato di riposo”. Come il ketchup. Si poteva nel Medioevo creare un’alchimia del genere? I tre ricercatori ritengono di sì.
La ricetta per preparare un liquido simile al sangue di San Gennaro è composta da quattro ingredienti: carbonato di calcio (presente al 98% nei gusci d’uovo), sale e acqua. E il quarto? Cloruro di ferro che si trova nel minerale ‘molisite’. E dove si reperisce questo minerale? Sui vulcani attivi. Come il Vesuvio. E’ solo una coincidenza? La tissotropia spiega allora il prodigio di San Gennaro? Andiamoci piano. Certo è che, come dice il teologo Nicola Bux, ‘i miracoli sono uno strumento per richiamare gli uomini a principi più alti. La liquefazione del sangue fa germogliare di nuovo la fede’. Perciò va bene la scienza, ma ‘diffamare’ San Gennaro rischia di farci arruolare tra i libellisti faziosi che con il loro scetticismo attirano su Napoli calamità e sciagure. Perciò, ketchup o no, non ci resta - per farci perdonare del dubbio sacrilego - , che recitare l’antica preghiera prima del ‘segno’: “Sante belle, tu si ‘u cchiu gran campione di Giesù Cristo, stannardo della Santa Fede, primmo cavaliere della Chiesa, ricco de li done della santissima Trinità e de l'Immacolata Concezione”.