Torino, 8 maggio 2019 - Il problema sono gli anticorpi. Quelli che impediscono a una tragedia del passato di infettare il presente, forse non abbastanza robusti. E lo spazio. Ce n’è a sufficienza per tutti? Tanto da contenere i sopravvissuti all’Olocausto e una casa editrice il cui direttore si proclama fascista? Dubbi hard core con molte sfumature travolgono la vigilia del salone del libro torinese. Dopo i giorni delle defezioni arrivano le denunce. E le lettere. Come quella firmata dal direttore del museo di Auschwitz Piotr Cywinski e da Halina Birenbaum, scampata al lager, forse decisiva per sciogliere il dilemma degli organizzatori della kermesse: confermare o meno la presenza di Altaforte troppo vicina a Casapound.
Insieme con i promotori italiani del Treno della memoria i due non accettano compromessi: o noi o loro. "Non si può chiedere ai sopravvissuti di condividere lo spazio con chi mette in discussione i fatti storici che hanno portato all’Olocausto – scrivono – O con chi ripropone un’idea fascista della società". Pretendono l’intervento del Comune di Torino perché non è in gioco un contratto ma "il valore più alto delle istituzioni democratiche". E il Comune, spalleggiato dalla Regione, interviene. Chiara Appendino e Sergio Chiamparino inviano un esposto alla procura contro Francesco Polacchi, il direttore della casa editrice che dice solo cose belle su Mussolini a mezzo stampa e in radio (chiarendo che "antifascismo è il vero male di questo Paese"). Lo ritengono estraneo allo spirito del Salone, e questo non sarebbe penalmente rilevante. Ma intravvedono anche nelle sue parole i presupposti per il reato di apologia del fascismo (legge Scelba 645 del 1952) e di violazione della legge Mancino del 1993, in particolare l’articolo 4 che prevede venga punito chi "pubblicamente esalta esponenti, principi, fatti o metodi del fascismo, oppure le sue finalità antidemocratiche". E lui si difende, confermando che sarà al Lingotto per dare ai suoi libri la vetrina che meritano: "Ora basta. Quelle parole sulla dittatura non le ho mai dette. Pur di censurare Matteo Salvini ogni giorno mi vengono messe in bocca cose che non ho detto". Interviene il vicepremier, suo malgrado coinvolto nella bagarre in quanto protagonista del librointervista di Chiara Giannini pubblicato da Altaforte: "Io non sono fascista. Sono antifascista, anticomunista, antirazzista, antinazista. Tutto l’anti possibile". Non verrà a Torino nemmeno lui: "Non fatemi fare anche l’organizzatore di saloni dei libri: la cultura è cultura da qualunque parte arrivi e benvenga il confronto". Ha annunciato invece la sua presenza Simone Di Stefano, leader di Casapound.
Dunque il pezzo forte dell’evento torinese rischia di essere la presenza o l’esclusione di un piccolo editore, sempre che chi ha promesso le molotov non si rubi per davvero i titoli. Il ministro della Cultura Alberto Bonisoli invita ad abbassare la voce: "Il Salone del Libro – dice – è un luogo di democrazia perché i libri sono idee. I toni si sono alzati troppo. Anche la difesa della libertà di espressione è un valore dell’antifascismo. Se ci saranno reati sarà la magistratura a stabilirlo". Si fa la conta di chi fin qui per protesta ha deciso di partecipare o di salire sull’Aventino. Non diserta Roberto Saviano: "Sono abituato a mettere il mio corpo a difesa delle mie parole, perché con l’esperienza ho capito che le parole, insieme al corpo, vanno più lontano". Il direttore del salone Nicola Lagioia precisa che il salone accoglie tutte le opinioni, ma aggiunge che stavolta il problema sono certe idee agli antipodi della sua impostazione. "Questa è la casa dei torinesi e di tutti gli amanti dei libri, il frutto del lavoro di tante professionalità. Un’esperienza del genere deve unirci, non dividerci".