di Cosimo RossiROMA"Violazione della legge della Repubblica islamica dell’Iran". Questa l’accusa nei confronti della giornalista italiana Cecilia Sala, secondo quanto riferito ieri da una nota del dipartimento generale dei media esteri del Ministero della Cultura e dell’orientamento islamico dell’Iran. Un’imputazione affatto generica rispetto a quelle di spionaggio che il regime degli hayatollah si è peritato a muovere in diversi altri casi di arresto di stranieri ai sensi della cosiddetta "diplomazia degli ostaggi". E che induce a confermare l’intenzione negoziale da parte del governo di Teheran nella partita a tre, con Roma e Washington. Un intreccio diplomatico in cui Sala sarebbe rimasta "ostaggio" come ritorsione per il fermo, effettuato a Malpensa su mandato Usa, del cittadino svizzero-iraniano Mohammad Abedini-Najafabadi; il cui legale italiano ha chiesto ieri i domiciliari.
La 29enne giornalista italiana è stata fermata lo scorso 19 dicembre, alla vigilia del ritorno dopo una settimana di soggiorno con visto professionale, tre giorni dopo il fermo del 38enne persiano all’aeroporto lombardo: il nesso è fuor di dubbio. Secondo Teheran il caso Sala "è sotto inchiesta", l’arresto si è svolto "secondo la normativa vigente", l’ambasciata "è stata informata" e alla giornalista "è stato garantito l’accesso consolare e il contatto con la famiglia". Ma non è un caso che sulla vicenda abbiano sentito bisogno di intervenire gli Usa, terza parte in causa, chiedendo all’Iran il rilascio "immediato e incondizionato dei prigionieri detenuti senza giusta causa", inclusa la giornalista italiana.
L’elenco della "diplomazia degli ostaggi" iraniana è lunga. Ultimo in ordine di tempo il caso del diplomatico svedese Johan Floderus, fermato all’atterraggio per una vacanza a Teheran nell’aprile 2022 con mortali accuse di spionaggio (e colluso con Israele), tenuto due anni nel carcere per dissidenti di Evin e infine scambiato con Hamid Nouri, amministratore penitenziario iraniano condannato in Svezia per l’esecuzione in massa di dissidenti politici nel 1988. Nell’autunno 2023 si era svolto lo scambio – con mediazione svizzera – di mezza dozzina di statunitensi fermati da Teheran con altrettanti carcerati iraniani negli Usa, accompagnati dallo sblocco di quasi 6 miliardi di dollari fermi in Corea del Sud dal 2018. Precedentemente sono stati scambiati, tra gli altri, una studentessa francese e un operatore umanitario belga con detenuti iraniani nelle rispettive carceri nazionali per condanne non esattamente lievi. Una "diplomazia" – le virgolette rimangono d’obbligo – consolidata del governo di Teheran e che gli Usa per primi hanno corrisposto.
La situazione rimane "molto complicata e ancor più delicata", confermano gli addetti ai lavori del comparto sicurezza. E il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, non si azzarda ancora a prefigurare i tempi. Anche se le prime scadenze giudiziarie si cominciano a profilare. La Corte di appello di Milano dovrebbe decidere sull’estradizione di Abedini tra il 7 e il 15 gennaio, con Joe Biden atteso per l’ultima visita in Italia tra il 9 e l’11. I procuratori della Corte federale di Boston lo accusano di essere il tecnico esportatore di componenti dei droni che avrebbero provocato la morte di tre militari in Giordania in complicità con Mahdi Mohammad Sadeghi, 42enne iraniano-americano che giovedì 2 gennaio tornerà al tribunale di Boston per l’udienza di cauzione. Anche l’avvocato italiano di Abedini ha chiesto i domiciliari, ma l’evasione del magnate-spia russo Artem Uss non attesta bene per le autorità italiana.
Se la Corte d’appello darà parare positivo all’estradizione, la parola passerà al guardasigilli Carlo Nordio, che potrà rifiutarla in caso di rischio pena di morte, reati politici, motivi di razza, religione o nazionalità e se nel dubbio di atti persecutori, crudeli o discriminatori.