Roma, 11 gennaio 2020 - Detenuti 'famosi': i loro volti per anni sulle prime pagine dei maggiori quotidiani nazionali. L'Italia si è divisa - tra frange di colpevolisti e innocentisti - al cospetto dei grandi casi di cronaca che hanno scandito l'ultimo ventennio. Storie drammatiche culminate al terzo grado di giudizio, con un forte impatto sociale e mediatico. Alberto Stasi, Massimo Bossetti, Rosa e Olindo, Veronica Panarello: personalità ed esistenze lontanissime fra loro, accomunate però da una condanna definitiva, che ne ha sancito non soltanto lo status di colpevolezza ma anche un futuro - più o meno a lungo termine - in carcere.
Sono retribuiti con la mercede - questo il termine che indica lo stipendio dei reclusi - che varia da una base di poche centinaia di euro fino a mille euro (soltanto in qualche caso). Denaro che alcuni riservano per sé, mentre altri destinano alle loro famiglie. Alberto Stasi, condannato a 16 anni per l'omicidio della fidanzata Chiara Poggi (Garlasco, 13 agosto 2007) ha una laurea in economia conseguita alla Bocconi. Nel carcere milanese di Bollate - modello avanzato di struttura penitenziaria - è impiegato come centralinista: opera al call center di una nota compagnia telefonica, che ha stipulato una convenzione con la 'Bee4 altre menti', impresa sociale fondata nel 2013, che offre opportunità di riscatto ai reclusi. Al medesimo call center, nella stessa struttura penitenziaria, aspira Salvatore Parolisi, che ha scontato quasi metà della pena a 20 anni di reclusione inflittagli per l'omicidio della moglie Melania Rea (Civitella del Tronto, 18 aprile 2011). L'ex militare sta frequentando uno stage formativo che gli permetterà di unirsi agli altri centralinisti.
Anche Massimo Bossetti si trova a Bollate, dove sta scontando l'ergastolo per l'omicidio della giovane Yara Gambirasio (Brembate di Sopra, 26 novembre 2010). L'ex muratore di Mapello presta il suo servizio per un'azienda che, insieme a Bee4, ha creato il progetto Second Chance (seconda possibilità): rimettere a nuovo macchine per caffè espresso ormai rovinate, in fase di demolizione, che vengono rigenerate dai detenuti, i quali così, a loro volta, hanno una 'seconda chance' di vita.
Anche i coniugi Olindo Romano e Rosa Bazzi, condannati all'ergastolo per la strage di Erba (11 dicembre 2006) sono detenuti lavoratori: il primo è ai fornelli nel centro clinico del carcere di Milano-Opera, la seconda è inserviente nella casa di reclusione di Bollate, ma è impegnata anche nella creazione di borse e accessori di cuoio per una cooperativa che sostiene progetti in favore dei bambini in Africa. Lavori sartoriali per Cosima Serrano Misseri e la figlia Sabrina Misseri, ergastolane anche loro, recluse nella casa circondariale di Taranto per l'omicidio di Sarah Scazzi (Avetrana, 26 agosto 2010): entrambe svolgono attività di volontariato per la sartoria istituita nella sezione femminile.
Angelo Izzo, condannato per la strage del Circeo (29 settembre 1975), affronta il 'fine pena mai' con saltuari lavori nel carcere di Velletri. Veronica Panarello, recentemente condannata a 30 anni di reclusione per l'omicidio del figlio Loris (Santa Croce Camerina, 29 novembre 2014) frequenta nel carcere di Torino un corso per operatore dei servizi sociali. Anche Michele Buoninconti, condannato a 20 anni per l'omicidio della moglie Elena Ceste, si è dedicato agli studi. L'ex vigile del fuoco opera come tutor universitario, mettendo la sua esperienza al servizio di altri detenuti-studenti che hanno bisogno di sostegno.
Non lavorano, invece, altri due noti ergastolani: Renato Vallanzasca, il bel René, superboss della mala milanese negli anni settanta-ottanta, recluso a Bollate; e Cesare Battisti, l'ex terrorista rosso trasferito lo scorso anno nel carcere di Oristano dopo una lunga latitanza all'estero. Risultano temporaneamente 'disoccupati' Antonio Logli, condannato a 20 anni per l'omicidio della moglie, Roberta Ragusa, sparita nel nulla nella notte tra il 13 e il 14 gennaio 2012, che sta scontando la pena nel carcere di Massa; e Manuel Foffo, detenuto nel carcere di Rebibbia, a Roma, 30 anni di reclusione per l'omicidio di Luca Varani (Roma, 4 marzo 2016). I due hanno svolto per un periodo lavoro a rotazione con altri detenuti e sono in attesa di 'nuova occupazione'.