Venerdì 20 Dicembre 2024
GIOVANNI BOGANI
Magazine

Rocco Papaleo: "Woody Allen mi chiamò. Ma dovevo portare mio figlio a Disneyworld"

L’attore e regista fa un bilancio della propria vita e della carriera "Invecchiando vorrei liberarmi dalle zavorre e avere più coraggio. Mi piacerebbe arrivare alla schiettezza di Monicelli, costi quel che costi".

Rocco Papaleo, 64 anni

Mentre il suo film, ‘Scordato, che ha diretto e interpretato assieme alla cantante Giorgia, sta facendo il giro d’Italia delle arene estive, con ottimo successo, Rocco Papaleo è già al lavoro, sul set del nuovo film dei fratelli Manetti. Sta girando in Calabria, a Palmi. Ma trova le energie per prendere un aereo all’alba e raggiungere Bardolino, sul lago di Garda, dove – al Bardolino film fest – è stato premiato con il premio BFF Comedian. L’attore e regista fa il punto sulla sua vita, sui traguardi raggiunti, sul suo percorso di artista. E dà qualche anticipazione sul film che sta girando, nei limiti di quello che può rivelare.

‘Scordato’ è tuttora nelle sale.

Che cosa ha significato per lei questo film?

"È il mio film più autobiografico, pur non essendo direttamente connesso alla mia vita. Passati i 60 anni, c’è sempre una spinta verso il bilancio, verso il fare i conti con il passato".

Il passato e il presente. Come guarda la sua vita, a 64 anni?

"Sono andato molto oltre le mie aspettative. Ma soprattutto, invecchiando mi propongo di liberarmi dalle mie zavorre. Voglio avere un coraggio maggiore, quello che ho tenuto un po’ più nascosto. Vorrei essere completamente autentico, e non diplomatico. Vorrei essere più deciso e pungente".

Un po’ come Mario Monicelli, che diceva quello che gli pareva, senza peli sulla lingua? "Non oserei paragonarmi a un maestro immenso come Monicelli. Però sì, mi piacerebbe arrivare a quella schiettezza, costi quel che costi".

Una volta accadde un ‘incontro mancato’. Fra lei e l’attore e regista che è uno dei suoi miti: Woody Allen. Come andò?

"È vero: ero stato chiamato per un ruolo, peraltro breve, nel film che Woody Allen ha girato a Roma, ‘From Rome with Love’. Sfortunatamente, per le date in cui avrei dovuto girare avevo programmato da molto tempo un viaggio negli Stati Uniti con mio figlio. E così, ho deciso che fare il padre era più importante di tutto. E mentre uno dei più grandi registi americani veniva in Italia, io andavo in America: avevo promesso a mio figlio di fargli vedere Disneyworld. In fondo sono un sentimentale".

Nel film ‘Che bella giornata’, nel ruolo del padre, ha tenuto a battesimo Checco Zalone, al suo secondo film. Che esperienza è stata?

"Checco è straordinario, perché è una persona geniale sempre piena di dubbi: ha una gradevolissima insicurezza, che non tutti percepiscono. Per girare quel film siamo stati un mese insieme, Checco, la sua chitarra e io. Posso dire di avere assistito a una serie di concerti live di Zalone solo per me".

In ‘Scordato’ ha rivelato, come attrice, una cantante straordinaria come Giorgia, portandola ad una nomination ai Nastri d’argento. Ha un grande amore per i musicisti?

"Diciamo che, al contrario, sono i musicisti che mi affascinano, da sempre. Nel caso di Giorgia, l’ammirazione è totale: la conosco da più di trent’anni, la vidi sbocciare nei palcoscenici romani negli anni ’90 e me ne sono invaghito, artisticamente. Ci siamo sempre incrociati, e alla fine ho trovato il coraggio di proporle il progetto di questo film. Ci siamo ripromessi di fermarci, se la cosa non avesse funzionato. Invece, siamo andati fino in fondo al film. E credo che sia stata una cosa bellissima. Giorgia scioglie i nodi esistenziali che avevano reso il mio personaggio così ‘scordato’. Io sapevo che in Giorgia c’era una grande anima, e che avrei potuto trovare in lei quella luce".

Nel suo primo film, ‘Basilicata Coast to Coast’, ha scoperto il talento di attore di Max Gazzè. È un vizio?

"Con Max Gazzè ho lavorato sul ‘contrario’. Max è uno che parla in continuazione. Gli ho dato un ruolo muto, ed ero sicuro che sarebbe ‘scoppiato’, che avrebbe espresso con la faccia tutto quello che non riusciva a dire con le parole. E infatti, è scoppiato. In senso buono".

Intanto, sta girando il nuovo film dei fratelli Manetti, ‘U.S. Palmese’. Che cosa può dire al riguardo?

"Posso solo parlare del mio approccio al progetto. È un film nel quale non mi sono mai dovuto impegnare così tanto. Ho dovuto recitare in un dialetto specifico, il palmese, il dialetto di Palmi, in Calabria. È stato come recitare in una lingua straniera, con la differenza che una lingua straniera ti ‘perdona’ di più. I fratelli Manetti sono originari di Palmi, e hanno dolcemente preteso che parlassimo davvero in ‘palmesano’. È stata un’esperienza formativa, rispetto alla mia pigrizia".

Si tratta di una storia sul calcio. In particolare che cosa racconta?

"È una storia di provincia, nella quale entra il calcio. La storia di una squadra di provincia, la Palmese, la quale grazie alla colletta lanciata da un tifoso paga uno stipendio milionario a un fuoriclasse".

Quali sono i toni, le atmosfere che sente, girando il film?

"I fratelli Manetti, Antonio e Marco, sono un mondo a parte. Quando girano, è come una sit comedy, con le loro discussioni che sono un film dentro il film".

Lei è il tifoso che lancia la colletta?

"Sì. Sono don Vincenzo, il tifoso che ha questa illuminazione, questo sogno di raccogliere dei soldi per fare arrivare nella propria squadra il campione, uno che ha raggiunto il successo con le squadre più importanti d’Italia e d’Europa".

Si sono girati tanti film sul calcio, ma pochi sono rimasti nella grande memoria collettiva. Perché?

"È vero, tranne ‘Fuga per la vittoria’, sono pochi i film di ambiente calcistico che ci hanno emozionato, che sono diventati dei cult movie. Forse perché è difficile mostrare al cinema le partite. Credo che i film più belli sul calcio siano quelli che raccontano un contesto, una storia: lì c’era la guerra, c’erano i nazisti. E poi naturalmente c’era Pelé!".

Lei ha giocato a pallone?

"Sì, ho giocato a pallone. E sono tifosissimo, della Roma".

A teatro quando è previsto il suo prossimo impegno?

"Questo inverno riprendo la collaborazione con il teatro stabile di Bolzano. Metteremo in scena ‘L’ispettore generale’ di Nikolaj Gogol’. È tanto tempo che non faccio un classico del teatro: e forse adesso, a 64 anni, era il momento giusto per farlo".