Roma, 27 dicembre 2024 – Generale Molinese, il terrorismo jihadista è ancora un rischio per l’Italia?
“La minaccia è concreta. Lo dimostra, del resto, l’operazione di qualche giorno fa, in cui abbiamo sgominato una vera cellula che agiva nel web volta a creare nuovi lupi solitari, lone wolves, piuttosto che strutture fisiche organizza. Ma alla stessa stregua è elevatissima l’attenzione dedicata al contrasto dello specifico fenomeno da parte delle strutture investigative vocate a prevenirlo e fronteggiarlo. Tra di esse figura proprio il Ros Carabinieri che per la specifica esigenza si confronta costantemente con il Comando generale dell’Arma”.
L’avviso autorevole arriva dal generale Vincenzo Molinese, una lunga e lusinghiera carriera vissuta su molteplici fronti, oggi comandante del Ros dei carabinieri.
Il recente arresto da voi compiuto dei cinque giovani radicalizzati dediti al proselitismo sulla rete e sui social è il segno, dunque, della persistenza della minaccia, ma anche della capacità di contrasto.
"Sono particolarmente soddisfatto del risultato conseguito con l’operazione di Bologna, la quale, come si è potuto notare, si è sviluppata su più province del territorio nazionale. L’indagine ha, infatti, coinvolto le competenze di quattro procure distrettuali, prima fra tutte quella felsinea, coordinate dalla procura nazionale antimafia e antiterrorismo. A questo proposito va innanzitutto osservato che non ci troviamo di fronte a fenomeni locali, spesso neanche nazionali, ma internazionali, talché, come in quest’ultimo caso, vengono interessate più aree della Penisola, in seno a progetti worldwide”.
Qual è la natura della minaccia di fronte alla quale ci troviamo?
“I particolari, che connotano la vicenda che ci ha portato a sgominare recentemente una cellula jihadista, ci spingono a evidenziare un particolare attivismo soprattutto nel cercare di reclutare immigrati, italiani di seconda generazione o coloro che si trovano in condizioni tali da essere predisposti alla radicalizzazione. Un reclutamento che pertanto va ad alimentare le fila della cosiddetta “minaccia indefinita“”.
Che caratteristiche ha?
“È davvero estremamente pericolosa e non deve essere sottovalutata nell’ambito delle varie offese messe in campo dal salafismo e dallo jihadismo. È la minaccia di coloro che autonomamente si radicalizzano e sposano la causa anche attuando azioni violente. È molto pericolosa perché è nelle mani anche di soggetti in giovane età che non si rendono conto o sono portati a non rendersi conto delle conseguenze di determinate loro azioni. Peraltro, gli attori sono imprevedibili perché non fanno parte di una cellula o di un’organizzazione strutturata che ha le proprie strategie di azione. Infine, è una minaccia che non può essere localizzata. Ma che si deve fronteggiare su tutto il territorio nazionale”.
In che modo è possibile prevenire, contrastare e ridurre il rischio di attentati jihadisti nel nostro Paese?
“Sul piano investigativo, il Ros per l’Arma dei carabinieri è costantemente al lavoro nell’individuazione e ricerca dei segnali che caratterizzano la presenza di fenomeni criminali di natura terroristica, in particolare quelli che possono favorire sia la radicalizzazione di soggetti singoli, lone wolves, sia eventualmente la costruzione di cellule con obiettivi strategici ben definiti”.
Come si sviluppa, oggi, per quel che può dirci, la vostra attività di prevenzione?
“L’impostazione è quella di contrastare il fenomeno, non solo il fatto episodico, perché se si contrasta il fenomeno si scongiurano anche gli eventi conseguenti singolarmente portati in essere. Il nostro metodo di investigazione, dunque, rimane quello del nostro fondatore, il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Un metodo che si basa innanzitutto sulla conoscenza dell’avversario, conoscenza che è principalmente informativa e che, però, oggi non deriva più solo dal contributo della risorsa umana o dall’acquisizione documentale, ma si sviluppa anche o soprattutto, attraverso attività Osint e Socmint (intelligence su fonti aperte e social), all’interno di quella che è la piattaforma di diffusione e proselitismo di elezione della radicalizzazione islamista da parte di Al Qaeda e dello Stato islamico: la rete e i social”.
Questo che cosa comporta?
“Le donne e gli uomini del Ros svolgono costantemente attività di monitoraggio e analisi di quanto reperibile nel web, specie in quelle che sono le piattaforme telematiche social sulle quali c’è la maggiore dialettica – scambio di opinioni e di orientamenti – da parte di coloro che sono legati o che sono interessati alla propaganda del terrorismo islamico. Questa opera, che è di setaccio, è basata su strumenti tecnologici, compreso l’uso dell’Intelligenza artificiale, che continuiamo a acquisire e migliorare quotidianamente. Contenuti, toni, penetrazione dei post di questa area sono al centro della nostra attenzione. È molto importante, d’altra parte, poter agire sullo stesso terreno del terrorismo jihadista in modo da poter individuare i potenziali obiettivi. A questa prima fase di tipo informativo segue il confronto con l’autorità giudiziaria a cui presentiamo le nostre ipotesi, dalle quali derivano lo sviluppo delle indagini preliminari coordinate dalla magistratura antiterrorismo”.
È immaginabile che l’Italia diventi un obiettivo ancora più sensibile nell’anno del Giubileo?
“In realtà ci lasciamo alle spalle già un anno in cui l’Italia poteva essere ed era nel mirino come obiettivo sensibile per lo svolgimento dei lavori del G7 nella Penisola. Siamo preparati, dunque, a usare strumenti che servono a scongiurare o ridurre al minimo minacce terroristiche internazionali o eversive interne. Ovviamente tutte le attività di natura informativa e investigativa subiscono accelerazioni in presenza di eventi del genere, come è stato per il G7 e come lo è per il Giubileo appena cominciato. Per quanto attiene al Ros posso dire che fin dal 2023, in vista di tali esigenze, siamo stati fortemente rafforzati dal Comando generale dell’Arma, e tuttora veniamo sostenuti, sul piano tanto delle risorse umane quanto e soprattutto dell’acquisizione degli apparati tecnologici a sostegno delle indagini. Abbiamo strumenti evolutissimi che utilizziamo a fini sia preventivi sia repressivi. Per intenderci, la moto che corre a 300 all’ora, non ce l’hanno solo i criminali, ce l’abbiamo anche noi”.
Siamo strutturati, dunque, come sistema di sicurezza del Paese per fronteggiare “anche” i rischi legati al Giubileo.
“Assolutamente sì. L’Italia, peraltro, dispone di un modello di coordinamento tra gli apparati di sicurezza che è un esempio replicato anche in altri Paesi. Nello specifico, mi riferisco al Casa, il Comitato analisi strategica antiterrorismo (che si riunisce oggi, ndr), che è un tavolo di confronto che consente di evitare duplicazioni e favorisce sinergie tra le forze di polizia e le agenzie di intelligence. Mi consenta, però, un’ultima considerazione sul ruolo di tutti noi come cittadini”.
Che cosa possiamo fare come cittadini?
“Così come l’attenzione dell’operatore di polizia può essere utile per alimentare il nostro patrimonio informativo, allo stesso modo anche quella del cittadino può essere altrettanto essenziale. E allora tutti ci dobbiamo sentire coinvolti e partecipi nel tenere alto il livello di attenzione su segnali di pericolo e allarme che possiamo cogliere. Questo vuol dire sentirsi parte di un sistema Paese che funziona, come è il nostro”.