Pescara, 20 febbraio 2023 - Lo strappo di Rigopiano - a pochi giorni dalla sentenza attesa per il 23 febbraio, a giudizio 29 persone fisiche e una società - non è soltanto quel foglio volante della prefettura di Pescara con i numeri di telefono e un rettangolo di carta ritagliato e sparito, lì c’era "presumibilmente" la chiamata in prefettura a Pescara di Gabriele D’Angelo, erano le 11.38 del 18 gennaio 2017, mancavano più di 5 ore alla valanga che alle 16.49 ha ucciso 29 persone. Lo ‘strappo’ di Rigopiano è anche leggere che il 12 dicembre 2018 - dunque quasi un anno dopo la strage e i morti - Ida De Cesaris, coordinatrice della sala operativa della prefettura intercettata e imputata nel processo, si giustifica al telefono, "quello mi dice abbiamo paura e se avete paura state lì belli belli al caldo e aspettate qualcosa facciamo".
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La replica dei pm in attesa della sentenza
Scrivono i pm nella corposa replica consegnata il 15 febbraio: "La segnalazione di D’Angelo sull’evacuazione dell’hotel Rigopiano fu del tutto sottovalutata, non fu proprio considerata dal personale della sala operativa della prefettura poiché proveniva da persone che si trovavano in un resort, dunque in un luogo agiato". E sgomenta ricordare "è la stessa cosa che Colangeli (geometra del Comune di Farindola, ndr), disse a Giuly Damiani, la fidanzata di Gabriele D’Angelo la mattina del 18 gennaio 2017". Quelle parole sono agli atti del processo: "Che stessero tranquilli al caldo, tanto lassù hanno tutto". "Ma qui - osserva l’accusa - De Cesaris lo dice nel 2018".
"Le telefonate di Gabriele D'Angelo sono un atto d'accusa"
"Le telefonate di Gabriele D’Angelo - rimarca l’avvocato Emanuela Rosa, che assiste il fratello Francesco - sono un documento di quello che è successo davvero in quelle ore. Gli imputati non si sono resi conto neanche dopo della gravità delle loro azioni. Gabriele era un volontario della Croce Rossa ed è stato tenace, ha contattato quelli che dovevano essere contattati. Sapeva cosa fare".
Quei 230 secondi al telefono a 5 ore dalla strage
Scrivono i pm che Gabriele D’Angelo riusciva a contattare la prefettura - dopo otto tentativi non andati a buon fine - alle 11:38, parlando per 230 secondi. D’Angelo aveva segnalato l’isolamento dell’hotel e aveva chiesto l’invio di un mezzo spazzaneve per liberare gli ospiti che se ne volevano andare, terrorizzati anche dalle scosse di terremoto. Ma - come documenta il video di Silvana Angelucci, morta a Rigopiano con il marito Luciano Caporale - erano bloccati da un muro di neve.
Ancora la parola ai pm: "La prefettura di Pescara, come affermato dal prefetto Provolo nelle intercettazioni telefoniche, non ha ‘funzionato’. Ed è "proprio tale "cattivo funzionamento" della prefettura che Provolo tenta di ‘celare’ agli organi investigativi delegati dalla Procura, mettendo per sempre a tacere la richiesta di aiuto di Gabriele D’Angelo". Per l'ex prefetto il procuratore Giuseppe Bellelli - con i sostituti Andrea Papalia e Anna Benigni - ha chiesto una condanna a 12 anni.
L’ultima voce da Rigopiano
La voce di Gabriele D’Angelo - è il passaggio finale dei pm - "è stata prima sottovalutata, anzi ignorata e dopo che egli era morto sotto le macerie della valanga, si è voluto cancellarla, seppellirla con la sabbia dell’ignavia. Una voce, quella di D’Angelo, che come le voci delle altre 28 vittime chiede verità e giustizia e chiama alle responsabilità tutti noi".