Farindola (Pescara), 24 gennaio 2017 - NON È la prima volta che l’Hotel Rigopiano finisce al centro di un’inchiesta giudiziaria: l’ultima si è chiusa appena qualche mese fa, a novembre, con sette assoluzioni. L’indagine, coordinata dal pm di Pescara Gennaro Varone, era partita nel 2010 a seguito dei lavori di ampliamento dell’albergo, avvenuti nel 2007, quando fu ristrutturato per ospitare centro benessere e anche una piscina. All’epoca si parlava di un presunto abuso edilizio: la struttura esiste infatti da prima degli anni ’50 come rifugio alpino del Cai, e nella sua lunga storia avrebbe già subìto altre calamità. Negli anni ’70 è stato poi costruito l’hotel. Insomma, da dimora per appassionati di montagna diventa una spa a 4 stelle. Fino a mercoledì, quando la furia della montagna lo ha raso al suolo. «Sarà un lavoro molto complesso – ha sottolineato il procuratore aggiunto di Pescara Cristina Tedeschini – ricostruire le fasi della realizzazione dell’edificio. Se la pratica di ampliamento è stata in qualche modo rilevante per quello che è successo, io lo saprò», assicura. Che è appunto uno dei temi di indagine su cui la Procura sta lavorando.
E INTANTO spunta l’ipotesi choc dall’H2O Abruzzo: secondo il Forum l’albergo sarebbe stato costruito sopra colate e accumuli di detriti preesistenti compresi quelli da valanghe, all’imbocco di un vallone. Lo testimonia la mappa Geomorfologica dei bacini idrografici della Regione Abruzzo sin dal 1991, ripresa e confermata nel 2007 dalla mappa del Piano di Assetto Idrogeologico della Giunta Regionale. Questa notizia, che la procura di Pescara prende in considerazione benché definendola «giornalistica» finirà negli atti dell’inchiesta, come ha confermato la stessa Tedeschini, getta una luce inquietante sulla struttura e sulla tragedia che l’ha poi distrutta, sempre prendendo questo studio con tutte le cautele del caso. Gli inquirenti si recheranno presto alla Regione Abruzzo all’Aquila per acquisire tutti i documenti che riguardano il settore: Piano Valanghe, carte e documenti relativi agli allerta meteo.
SECONDO quanto documenta l’H2O la mappa della Regione evidenzia nel sito «conoidi di deiezione» ossia «un’area rialzata formata proprio dai detriti che arrivano dal canalone a monte dell’albergo. Insomma, come stare proprio lungo la canna di un fucile che poi è stato caricato ed ha sparato», ha spiega Augusto De Sanctis, del Forum. «Il fatto che ci fosse prima una struttura più piccola non vuol dire granché – spiega ancora De Sanctis – perché i tempi di ritorno di questi fenomeni estremi possono essere più lunghi di qualche decina di anni. I geologi identificano le aree di rischio non solo attraverso gli eventi già noti, riportati nel catasto di frane e valanghe, ma anche e soprattutto su alcune caratteristiche specifiche del terreno a cui ricollegano il tipo di eventi che può verificarsi. E lì questi segnali dovevano essere evidentissimi, come spiegano queste mappe ufficiali».
L’esistenza di una mappa conoscitiva però, ad avviso di De Sanctis, non si è tradotta «per omissione della Regione in una mappa del rischio valanghe che era prevista dalla legge 47/92, cioè 25 anni fa. La legge prevede per le aree a rischio accertate o potenziali o l’inedificabilità o per strutture esistenti il divieto di uso invernale». Al pm Tedeschini non sguggirà il caso della strada di 9 chilometri «a rischio» che collega Farindola al resort e che «andava chiusa»: «Tra i filoni di indagine c’è quello sulla viabilità di accesso rispetto all’hotel in quel momento».