Venerdì 29 Novembre 2024
ALESSANDRO FARRUGGIA
Cronaca

Nucleare, il monolite atomico finalmente 'in gabbia'

Dopo 12 anni di lavori Sogin ha messo in sicurezza una massa radioattiva da 130 tonnellate e 1 terabequerel di attività che era stata interrata nel sito di Rotondella (Matera). Dissepolta, sezionata, incapsulata in acciaio è ora sotto controllo: ma il deposito nazionale resta ancora da fare. Per colpa della politica

Il monolite nucleare rimosso

Il monolite nucleare rimosso

Rotondella (Matera) 18 dicembre 2019 - L'hanno chiamato “il monolite”. E' una massa di 130 tonnellate e 54 metri cubi di rifiuti radioattivi a media attività annegati in malta cementizia armata che furono sepolti - secondo la normativa dell'epoca - in quattro pozzetti a 6,5 metri di profondità in quella che il centro Enea Itrec di Rotondella chiamava “fossa 7.1”. Il “monolite” è una butta bestia, contiene circa un terabequerel di radioattività - filtri dell'impianto di trattamento dell'acqua delle “piscine”, teste e puntali delle barre combustibile e altri materiali radioattivi, con contaminazione da cesio e stronzio soprattutto - e nel tempo era una minaccia potenziale. Da ieri, al termine di una attività condotta da Sogin nell'arco di 12 anni e costata 12 milioni di euro (la messa in sicurezza del sito di Rotondella ne costerà complessivamente 220-230 ndr), il “monolite” è finalmente in sicurezza.

La Fossa 7.1 era stata progettata dall'Enea per essere definitiva, ma alla luce delle moderne prassi di radioprotezione non poteva esserlo. Quando nel 2003 Sogin - società pubblica - ebbe l'incarico di avviare il decommissioning delle quattro ex centrali e dei siti nucleari italiani, come Rotondella, fu progressivamente chiaro che la “fossa 7.1” andava rimossa e i suoi rifiuti radioattivi messi in sicurezza. L'impresa era senza precedenti, anche perchè la struttura non era progettata per essere rimossa e non si sapeva con certezza cosa ci fosse dentro. “La completa e definitiva rimozione del monolite - osserva presidente di Sogin Luigi Perri - è stata un'impresa ingegneristica unica. L'Italia ha iniziato per prima a implementare il decommissionig e si è trovata ad affrontare sfide nuove. Il risultato costituisce una buona pratica di bonifica”. Ed erano sfide davvero complesse e costose. “La sfida era rendere recuperabile qualcosa che non lo era - dice l'ingegner Emanuele Fontani, oggi ad di Sogin ma dal 2010 a Rotondella e poi ad di Nucleco incaricata di operare sul “monolite” - una sfida molto difficile da realizzare. Al momenti dissi: non ce la faremo mai. E invece giorno dopo giorno mi sono reso conto che era possibile, e così è stato”.

L'attività preliminare di bonifica della fossa 7.1 è iniziata nel 2007, ed è appunto giunta alla fase di scavo del 2012. Il 21 agosto 2014 si scontrò con il primo problema - i problemi inattesi sono una costante nel nucleare - uno sversamento di liquidi dal monolite che si credeva contenesse solo rifiuti solidi. “Quel giorno - ricorda Fontani - mi dissero c'è un problema sul monolite. Dovemmo affrontarlo, lo risolvemmo, seppure con uno slittamento dei tempi”. Il problema non era da poco, perchè i liquidi usciti da una fessura di 2 centimetri che contaminarono solo due metri quadrati di terreno accanto al monolite, erano estremamente radioattivi. Una misurazione effettuata da Sogin conteggiò fino a 7600 Bequerel di cesio 137, che costrinsero a rimuovere il terreno contaminato prima per una profondità di 20 centimetri, poi, dopo misurazioni ARPA Basilicata fatte qualche giorno dopo che indicavano pur sempre una residua contaminazione fino a 250 bequerel, fu necessario rimuovere il terreno fino a una profondità di 60 centimetri. Non solo, la non prevista presenza di rifiuti liquidi nel monolite, probabilmente infiltrazioni di acqua piovana, costrinse ad adeguare il progetto di messa in sicurezza con l'aspirazione dell'acqua radioattiva contenuta nel monolite, che risultò essere di ben 800 litri. Adesso questo è il passato.

L'attivita ingegneristica sul “monolite” era iniziata nel 2007 quando è stata creata la barriera idraulica per evitare l'ingresso dell'acqua di falda, montato il montaggio della trave di coronamento il capannone per garantire il confinamento statico e dinamico. Nel 2012 sono state avviate le opere di scavo e le indagini sulla massa radioattiva stessa, installando un sistema di stabilizzazione del monolite, un sistema di drenaggio liquidi e la soletta di fondo fossa. Sono poi stati installati speciali sistemi di scorrimento per sostenere il peso di ogni singolo pezzo (45 tonnellate l'uno) e il monolite è stato incamiciato in contenitori, per schermarlo. A quel punto è iniziato il taglio orizzontale perforando la base sulla quale era poggiata la strutture. Al termine del taglio orizzontate è stata montata la macchina di taglio verticale, che tramite un filo diamantato ha sezionato il monolite. Per evitare la dispersione di radioattività è stata installata una struttura di confinamento dinamico che filtrava l'aria nella fossa e a quel punto, dall'alto verso il basso, il monolite è stato sezionato con tre tagli, in quattro “semi monoliti”. I quattro monoliti sono stati quindi incapsulati in contenitori di acciaio inox da 1 centimetro, pronti per essere sollevati ed estratti. A quel punto, dal 12 dicembre 2019, è iniziata l'estrazione utilizzano una gru da 500 tonnellate. Ogni semi monolite, incamiciato in acciaio, è stato così sollevato, ribaltato, posizionato su una struttura provvisoria e quindi trasferito su un semovente verso la struttura di deposito. L'ultimo “semi monolite”, il quarto, è stato sollevato questa mattina. Missione compiuta.

Certo, adesso resta il problema - enorme - della costruzione del deposito nazionale di stoccaggio dove conferire i materiali oggi presenti nei vari siti gestiti da Sogin. “Siamo in fase di validazione della carta Cnapi dei siti idonei - osserva l'ad di Sogin - il deposito è previsto per il 2025, e facendo le corse saremmo ancora in tempo”. Il problema è la politica, che non vuole assumersi l'onere di scelte impopolari. E cosi i rifiuti radioattivi - come il “monolite” suddiviso in quattro e incapsulato e le 64 barre uranio-torio della centrale americana di Elk River che si trovano a Rotondella - resteranno dove sono. In sicurezza (le barre di Elk River saranno trasferite entro 2-3 anni in contenitori a secco adeguati), ma ancora precari per chissà quanto tempo.

In attesa del deposito nazionale di superfice, che ospiterà rifiuti nucleari a bassa e media  attività, resta irisolto a livello modiale il tema del deposito geologico profondo, per le scorie ad alta attività. ''Teoricamente potrebbe sorgere anche in Italia, ma solo teoricamente. Ci sono paesi - osserva Fontani- che hanno una cultura nucleare più aperta dell'Italia. L'Italia ha fatto una scelta con Chernobyl e il referendum. Se posso dare la mia opinione personale credo che l'Italia avrà grosse difficoltà ad ospitarlo ma potrà avere un ruolo nell'individuare un accordo con altri paesi per potere realizzare un deposito comune''.