Le abitudini saranno difficili da lasciar cadere da un giorno all’altro. Perché è vero che il 31 marzo finirà lo stato di emergenza su volontà del governo Draghi, deciso a riaprire tutto il più presto possibile, ma per molti sia l’uso della mascherina sia il lavoro in smart working, come ormai gergalmente chiamato quello svolto da casa in piena pandemia (da non confondere comunque mai con il lavoro telelavoro, che poggia su una specifica normartiva di legge) non saranno così facili da dimenticare. Anzi. Sul secondo punto, in particolare, il ritorno alla normalità – invocato più volte per gli statali dal ministro Renato Brunetta – resterà comunque un’eventualità possibile per i lavoratori, sia del privato sia del pubblico. Con modalità, però, di accordo individuale tra azienda e lavoratori come prevede la legge pre stato di emergenza.
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Il modo di lavorare e di concepire il lavoro in questi due anni è profondamente cambiato. Molte aziende, con una rinnovata regolazione contrattuale, sarebbe disponibili a utilizzare ancora lo smart, perché questo consente parecchi risparmi, a partire dai costi per la gestione delle sedi di lavoro, ma i sindacati frenano per il timore che il ricorso allo smart dia alle aziende il coltello dalla parte del manico per chiedere tagli agli stipendi dei lavoratori. Insomma, la discussione è in corso, ma quel che è certo fin da ora è che da aprile i lavoratori dovranno negoziare per legge degli accordi individuali sullo smart working, che comunque si stima interesserà tra i 5 e gli 8 milioni di persone. Tra cui anche i lavoratori fragili per i quali molte aziende stanno optando per la stipula di accordi con i sindacati. Infatti sono state stabilite le patologie e le condizioni che danno accesso allo status di lavoratori fragili con diritto al lavoro agile. Inoltre cambiano le modalità di accertamento.
L’attestazione va fatta da parte del medico di famiglia, che deve certificare le condizioni di salute che rendono rischioso lo svolgimento dell’attività lavorativa in presenza. Da ultimo l’Inps ha dato un chiarimento sull’equiparazione a malattia del periodo trascorso in quarantena per i lavoratori fragili.
Un’altra delle abitudini di cui faremmo volentieri a meno sulla carta, ma che invece resterà molto presente nelle nostre vite almeno fino a giugno, sarà la mascherina, da usare però solo nei luoghi chiusi. Intanto, si dirà addio alla Ffp 2 in classe, ma ancora non è stato deciso fino a quando rinnovare l’ordinanza che impone la mascherina per spettacoli al chiuso in teatri, cinema, locali di intrattenimento e musica dal vivo e per gli eventi e le competizioni sportive che si svolgono al chiuso. ll ministro della Salute ha annunciato un’ordinanza che rinnoverà l’obbligo di indossare le mascherine in tutti i luoghi al chiuso diversi dalle abitazioni private. Ed è una strada che la fondazione Gimbe caldeggia: "Se i dati consentono di guardare avanti con ragionevole ottimismo - ha commentato ieri Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione – non è accettabile ‘approfittare’ della fine dello stato di emergenza per confondere le carte in tavola: discesa della quarta ondata non significa circolazione endemica del virus né, tantomeno, fine della pandemia. Tali accezioni, infatti, rappresentano distorsioni della realtà che disorientano la popolazione e rischiano di legittimare decisioni azzardate".