Mercoledì 13 Novembre 2024
ALESSANDRO BELARDETTI
Cronaca

Rapporto Gimbe sulla sanità: cresce la spesa familiare e curarsi al Sud è un rebus

Il report Gimbe, in un anno i costi per ogni nucleo sono saliti del 10,3%. Quasi 4,5 milioni di persone rinunciano alle terapie. Crolla la prevenzione: -18%

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La sanità divide l’Italia (foto Cusa)

Roma, 9 ottobre 2024 – La spesa sanitaria per le famiglie italiane ha registrato un’impennata del 10,3% nel 2023 e sono state quasi 4,5 milioni le persone che hanno rinunciato alle cure. Questi numeri, uniti al divario della spesa sanitaria pubblica pro capite di 889 euro rispetto alla media dei Paesi Ocse della Ue (52 miliardi di euro totali), alla crisi motivazionale del personale che abbandona il Ssn, alle diseguaglianze regionali e territoriali, alla migrazione sanitaria, ai tempi di attesa nei pronto soccorso affollati "dimostrano che la tenuta del Servizio sanitario nazionale è prossima al punto di non ritorno". La drammatica fotografia è scattata dal 7° rapporto Gimbe sul Servizio sanitario nazionale.

Salasso per le famiglie

Rispetto al 2022, l’anno scorso i dati Istat hanno documentato che l’aumento della spesa sanitaria totale (+4.286 milioni di euro) è stato sostenuto esclusivamente dalle famiglie come spesa diretta (3.806 milioni) o tramite fondi sanitari e assicurazioni (553 milioni), vista la sostanziale stabilità della spesa pubblica. La spesa diretta dei cittadini, che nel 2021-2022 ha registrato un incremento medio annuo dell’1,6% (+5.326 di euro in 10 anni), nel 2023 si è impennata del 10,3% (+3.806 milioni).

Italia spaccata in due

Rispetto ai Livelli essenziali di assistenza (Lea) – le prestazioni e i servizi che il Ssn è tenuto a fornire a tutti i cittadini gratuitamente o con un ticket – nel 2022 solo 13 Regioni hanno rispettato gli standard essenziali di cura, con un ulteriore aumento del divario nord-sud: Puglia e Basilicata sono le uniche Regioni promosse al sud, ma in posizioni di coda. "Siamo di fronte – commenta Nino Cartabellotta, presidente Gimbe – a una frattura strutturale nord-sud nell’esigibilità del diritto alla tutela della salute. A questo quadro si aggiunge la legge sull’autonomia differenziata, che affonderà definitivamente la sanità del Mezzogiorno, assestando il colpo di grazia al Ssn e innescando un disastro sanitario, economico e sociale senza precedenti che avrà conseguenze devastanti per milioni di persone".

Migrazione sanitaria

Anche la mobilità sanitaria evidenzia la forte capacità attrattiva del nord, coi residenti del centro-sud spesso costretti a spostarsi in cerca di cure migliori. Nel decennio 2012-2021le Regioni del Mezzogiorno hanno accumulato un saldo negativo di 10,96 miliardi di euro.

Rinuncia alle cure

Secondo l’Istat nel 2023 4,48 milioni di persone hanno rinunciato a visite specialistiche o esami diagnostici (di cui 2,5 milioni per motivi economici), quasi 600mila in più dell’anno precedente. Crolla poi la spesa per la prevenzione: nel 2023 si riduce di 1.933 milioni (-18,6%).

Fuga dei medici

I sindacati documentano il progressivo abbandono del Servizio sanitario nazionale: secondo la Fondazione Onaosi, tra il 2019 e il 2022 il Ssn ha perso oltre 11mila medici per licenziamenti o conclusione di contratti a tempo determinato e Anaao-assomed stima ulteriori 2.564 abbandoni nel primo semestre 2023.

Carenza di infermieri

"Ma la vera crisi – conclude Cartabellotta – riguarda il personale infermieristico: nonostante i crescenti bisogni, anche per la riforma dell’assistenza territoriale, il numero di infermieri è insufficiente e le iscrizioni al corso di laurea sono in calo". Con 6,5 infermieri ogni mille abitanti, l’Italia è ben al di sotto della media Ocse (9,8), collocandosi tra i Paesi Ue col più basso rapporto infermieri/medici (1,5 a fronte di una media europea di 2,4). Nel 2022 i laureati in Scienze infermieristiche sono stati 16,4 per 100mila abitanti, rispetto a una media Ocse di 44,9, lasciando l’Italia in coda alla classifica prima solo di Lussemburgo e Colombia.