"Neanche un animale si uccide così". Le parole impastate di lacrime. La foto del fratello in mano, ritratto di diversi anni fa, quasi sicuramente prima che lasciasse Casablanca per rincorrere il sogno di una vita diversa in Italia. E quell’appello alla mobilitazione rivolto "alle massime autorità italiane e marocchine, compreso il Re, affinché vigilino sulla situazione e sia fatta giustizia". Irrompono sulla scena così le presunte sorelle di Said Malkoum. E lo fanno davanti alle telecamere dell’emittente marocchina Chouf TV, la cui pagina Facebook è seguita da 8,5 milioni di followers. Piangono, si lamentano, si disperano perché "nostra madre è morta senza più rivedere suo figlio, nostro fratello", dicono. A parlare più a lungo è quella che dichiara di essere la sorella maggiore.
Racconta di aver appreso la notizia dai tg italiani e di aver visto il video integrale di un minuto e venti secondi, della morte di Said. Un video "disumano" aggiunge, che mostra gli ultimi istanti di vita di suo fratello. E poi parla di quella donna (Cinzia Dal Pino, l’imprenditrice balneare ora ai domiciliari con l’accusa di omicidio volontario) che "scende dall’auto, si riprende la borsetta e lo lascia lì a terra. "E nonostante avesse visto le sue condizioni – aggiunge la donna – è andata via senza pietà, senza chiedere aiuto".
Tra le mani, di fronte alle telecamere, la donna, accompagnata da altre due sorelle, stringe la vecchia fotografia di un ragazzo: gli occhi tagliati a spicchio di luna assomigliano proprio a quelli di Said. È convinta che l’uomo ucciso su un marciapiede di via Coppino a Viareggio, e che nell’ultima immagine si mostra segnato dal tempo, con un sorriso ormai rimasto a metà, sia proprio suo fratello. Lo stesso ragazzo che, come tanti altri fratelli nel Nord Africa, aveva lasciato Casablanca "ventiquattro anni fa" e per inseguire qualcosa è arrivato a Viareggio.
La donna racconta che il fratello "era nato nel 1970", Said avrebbe dunque compiuto a giugno 54 anni. Sua madre è scomparsa, qualche anno fa, senza averlo mai riabbracciato. "Ed era una persona rispettosa – dice un’altra delle sorelle –: tutti coloro che lo hanno conosciuto lo confermano". Fanno riferimento ad un parroco della città, "che lo ha conosciuto nel profondo" "Era una persona comune, come tante. Abbiamo paura che proprio per questo la sua storia venga dimenticata – proseguono – e non ci sia giustizia. Chiediamo l’intervento delle massime autorità italiane e marocchine, compreso il Re, affinché vigilino sulla situazione".
L’appello della donna è accorato: spesso scoppia in lacrime, agitando la vecchia foto che ha in mano. "Siamo consapevoli – afferma – che Said non si trovasse sulla strada quando è avvenuto l’investimento, ma era sul marciapiede. L’autrice del fatto, perciò, è salita con la sua auto con il chiaro intento di investire nostro fratello. Dopo di che si vede bene come scenda, si diriga verso Said, lo guardi con freddezza, risalga e se ne vada. Nemmeno un animale si uccide così". "La nostra famiglia – prosegue la donna – è sotto choc e chiede venga fatta giustizia. Soprattutto, non ci capacitiamo del fatto che all’autrice del fatto siano stati dati solo i domiciliari". E chiedono rispetto "per il nostro sentimento di tristezza, perché – concludono – ci aspettavamo di rivederlo vivo davanti a noi, ma oggi apprendiamo la notizia della sua uccisione in modo barbaro".
E ieri l’autopsia eseguita dal medico legale Stefano Pierotti, incaricato dal pm Sara Polino, ha confermato che la morte di Said
Malkoum è avvenuta per le lesioni interne gravissime e fatali dovute a schiacciamento. Dall’esame necroscopico, durato oltre tre ore, infatti, è emerso che l’uomo ha riportato alcune fratture ma soprattutto lesioni interne addominali gravissime e altre minori in varie parti del corpo, nel ripetuto impatto causato dalla grossa autovettura che l’ha sbattuto contro la vetrata di un’attività commerciale e sul marciapiede, anche quando era ormai inerte.