Roma, 10 maggio 2020 - Volevano lei, Silvia Romano. Quella solare cooperante 25enne che lavorava per la onlus marchigiana Africa Milele e operava, amatissima, a Chacama in un povero villaggio della contea di Kilifi, in Kenya. Sono arrivati in otto, armati di kalashnikov e machete. Cercavano una cooperante straniera, che fosse sola – un obiettivo facile – e che avrebbero poi usato come merce di scambio. Così fu.
Gli esecutori erano kenyoti di etnia somala ma i mandanti erano gli Shabaab, il gruppo terroristico somalo affiliato ad al Qaeda. La polizia kenyota dimostrò da subito di capire poco della dinamica perché insistette per giorni a sostenere che si trattasse di criminali locali che volevano un riscatto immediato. E invece Silvia era già lontana, come capirono gli investigatori del Ros dei carabinieri che lavoravano per la procura di Roma. Il 10 dicembre 2018 fu arrestato uno dei tre presunti rapitori, Ibrahim Adan Omar. Successivamente toccò ad altri due, Moses Luwali Chende e Abdulla Gababa Wario. Ma due di loro, pagando una cauzione, sono tornati liberi prima del processo e le udienze sono state rinviate più volte, quasi a dimostrazione che la pubblica accusa kenyota credeva poco nella pista.
L’Italia per fortuna lavorava per suo conto, seguendo l’intuizione che quello di Silvia era un rapimento su commissione. Ciascuno nel suo ambito, l’Unità di Crisi della Farnesina, la procura di Roma e l’Aise – i nostri 007 per l’estero – hanno imboccato risolutamente la pista somala e hanno chiesto e ottenuto il silenzio stampa, rotto di volta in volta da notizie clamorose che venivano smentite. Da quella che del febbraio 2019 che la ragazza sarebbe stata uccia in una sparatoria tra i rapitori e gli Shabaab per il mancato accordo sul prezzo della cessione a quella del maggio 2019 che sarebbe stata costretta a convertirsi e poi del settembre 2019 che sarebbe stata obbligata pure a sposarsi. E poi l’ipotesi che veniva usata dagli Shabaab come scudo umano contro gli attacchi dei droni Usa, o che fosse rimasta ferita in una scontro a fuoco fra i rapitori e dei contrabbandieri. Di tutto di più. Unità di Crisi e Aise continuavano a lavorare e a seguire piste locali, godendo dell’appoggio delle intelligence somala e turca.
Un plauso speciale va all’Aise che ha fatto il lavoro sul campo e sotto la guida del generale Luciano Carta ha liberato 5 ostaggi: nell’aprile e maggio 2019 Sergio Zanotti e Alessandro Sandrini, rapiti in Turchia e portati in Siria; il 14 marzo Luca Tacchetto e la compagna canadese Edith Blois, che erano scomparsi in Burkina Faso; ieri Sivia Romano. Per Carta, designato ad aprile alla presidenza di Leonardo, non poteva esserci modo migliore di lasciare l’incarico.