I suoi genitori si sono battuti per tre anni perché Nina Rosa Sorrentino, 19 anni, con la sindrome di Down, sostenesse quest’anno l’esame di maturità al liceo Sabin di Bologna, indirizzo Scienze umane. Per potersi poi iscrivere a un corso breve all’università e diventare insegnante di danza nelle scuole materne o elementari, dato che fu proprio un’esperienza come quella che da bambina le cambiò la vita regalandole la passione per il ballo. Ma il consiglio di classe, all’unanimità, ha detto no: per lei il percorso necessario per arrivare al diploma sarebbe stato troppo "stressante". Così, lo scorso 14 marzo, esattamente un giorno prima che i giorni di frequenza potessero essere tali da farle comunque ottenere la "certificazione di competenze" prevista a fine anno al posto del diploma, i genitori di Nina hanno decisa di ritirarla da scuola. Ora, dopo l’articolo uscito sul Corriere di Bologna, hanno già fissato per oggi vari appuntamenti con scuole che si sono offerte, se non proprio di dare un posto alla loro figlia, almeno di aprire un confronto con loro per valutare le opzioni possibili per permetterle di ottenere il diploma. "O almeno di provarci – sottolinea papà Alessandro –: non chiediamo certo che le venga regalato. Ma non accettiamo il paternalismo con cui ci si dice ’poverina, non ce la può fare’: nella vita non si può essere sempre schermati dalle delusioni, Nina lo sa, anzi è lei la prima che si vuole mettere in gioco". Alcuni insegnanti si sono offerti di assisterla in questi giorni nello studio a casa, per non farle perdere il ritmo.
Il papà ripercorre la lunga battaglia per far sì che la figlia potesse modificare il proprio percorso di studio, che prevedeva la certificazione finale e non il diploma, coinvolgendo anche università di Scienze della formazione, Centro emiliano problemi sociali per la Trisomia 21 (Ceps) e associazione nazionale CoorDown. "Tutti ci hanno detto che ce la poteva fare, in primis la neuropsichiatra infantile a cui ci siamo rivolti. E le leggi sull’inclusione scolastica, sulla carta, le danno questa possibilità", attacca il papà.
Il Decreto interministeriale 1822020 chiarisce come lo studente con disabilità non abbia diritto al diploma, e le scuole, alla sua iscrizione, debbano riunire un Gruppo operativo che ne definisca il piano educativo individuale. Gruppo di cui in questo caso facevano parte i genitori di Nina, gli insegnanti, la neuropsichiatra. Il piano, firmato da tutti i membri del gruppo, definisce obiettivi, strumenti e percorso dello studente, che può essere per obiettivi minimi (portando a un esame di Stato ’personalizzato’), per obiettivi misti o differenziato. Nina aveva scelto quest’ultimo, alla fine del quale c’è solo una "certificazione" senza valore legale. Ma alla richiesta di cambiarlo con quello per obiettivi minimi, il consiglio di classe, cui spetta la decisione finale, ha detto no all’unanimità.
"Nina ha sicuramente valori e competenze da spendere, non solo nel percorso scolastico ma anche nell’inserimento lavorativo e questo deve essere un diritto garantito a tutti. Siamo a marzo, l’esame è a giugno, magari c’è ancora qualche possibilità. Cercherò di contattare sia il ministero, sia la scuola". Così la ministra alle Disabilità Alessandra Locatelli. Commenta poi Paola Frassinetti, sottosegretaria all’Istruzione: "Non è l’esempio di scuola dell’inclusione cui ci ispiriamo. La scuola deve utilizzare tutti gli strumenti per permettere ai ragazzi diversamente abili di realizzare il proprio percorso scolastico, di crescere e formarsi". E il vice premier Antonio Tajani: "Lavoriamo a una società più inclusiva che agevoli la vita di tutti coloro che soffrono una disabilità. La loro sensibilità e il loro modo di dimostrare affetto ci insegnano tanto ogni giorno". La preside del Sabin, Rossella Fabbri, dichiara: "Abbiamo scelto di non intervenire per tutelare la privacy della studentessa".
Federica Orlandi