Domenica 5 Gennaio 2025
ALBERTO MATTIOLI
Libri

Quelli che vogliono fare i gladiatori: un libro smonta le fake news sugli antichi eroi di Roma

Russell Crowe ne ha fatto rivivere l’epopea al cinema, Elon Musk voleva sfidare Zuckerberg al Colosseo

Russell Crowe ha fatto rivivere l’epopea dei gladiatori al cinema

Russell Crowe ha fatto rivivere l’epopea dei gladiatori al cinema

Roma, 5 gennaio 2025 – Le notizie sono due. La prima, più sorprendente, è che perfino in Italia ci sono dei professori universitari che sanno scrivere e lo fanno anche per i lettori e non solo per i loro colleghi (la prosa dei prof, notoriamente, è la più noiosa del mondo, beninteso dopo quella dei giornalisti). La seconda, è che tutto quello che avete creduto di sapere sui gladiatori è falso, o almeno poco preciso. Tutto quello che invece vorreste sapere si trova in questo Morituri - La vera storia dei gladiatori di Luca Fezzi e Marco Rocco (Garzanti), che si presenta con una copertina da romanzo storico o da locandina di film di Ridley Scott ed è invece un serissimo saggio: soltanto, o sorpresa, lettori te salutant, non solo leggibile ma addirittura appassionante.

Ora, che i gladiatori conoscano un momento di grande popolarità non c’è dubbio, almeno da quando il polpettone cinematografico del sullodato Scott con Russell Crowe li ha riportati di moda, nel 2000. Nel frattempo, è arrivato nelle sale il ’Gladiatore II’ (questa volta con Paul Mescal, anche perché il personaggio di Crowe era morto alla fine del primo film e intanto l’attore è raddoppiato di volume), mentre Scott annuncia o minaccia, sul New York Times, una terza puntata, ma non prima di un biopic sui Bee Gees e un film di fantascienza: del resto, fra imprecisioni e anacronismi, quanto a fantascienza anche i suoi gladiatori non scherzano.

Anche il miliardario picchiatello Elon Musk aveva annunciato di voler combattere con Mark Zuckerberg al Colosseo, progetto che era stato bocciato perfino da Sangiuliano. Ma Musk è così amico di Meloni che magari il permesso glielo daranno: nel caso, abbiamo già pronto il pollice. E pensare che "morituri te salutant", in realtà, non l’ha mai detto nessuno, e in ogni caso non un gladiatore. Fezzi & Rocco spiegano infatti che in tutta la letteratura latina la frase è citata una volta sola, nella Vita dell’imperatore Claudio di Gaio Svetonio Tranquillo, e i morituri in questione erano i ben 19 mila condannati a morte che avrebbero dovuto darsela riproducendo sul lago Fucino una battaglia navale. Si sa: quanto a esecuzioni capitali, nessuno ha mai superato la sadica raffinatezza dei romani.

I giochi dei gladiatori erano infatti inseriti in elaborati spettacoli che comprendevano anche venationes, protagoniste le belve e, appunto, supplizi capitali. In origine, il combattimento era un munus, un rito funebre in onore dei cari estinti: il primo documentato risale al 264 avanti Cristo, alle esequie del senatore Decimo Giunio Bruto Pera. Seguono dettagli interessantissimi su origini sociali e carriera dei gladiatori, armi e tecniche di combattimento, entusiasmi e biasimi di intellettuali. E poi stadi, tifosi, allenatori, appaltatori, sponsor, scommesse, insomma tutta l’attuale serie A.

I gladiatori non erano solo condannati a morte, prigionieri di guerre e schiavi, ma anche liberi cittadini, gli "auctorati", che volevano provare il brivido dell’arena anche a costo dell’ostracismo sociale. Non mancano nemmeno casi di gladiatrici, però eccezionali e poco documentati. Altra sorpresa: la morte non era affatto l’esito quasi scontato del combattimento, almeno per chi l’aveva perso. Gli storici calcolano un tasso di mortalità del 10 per cento nel primo secolo dopo Cristo e del 25 nei due successivi, quando raramente un gladiatore superava i dieci combattimenti. Però è ricordato un Pardo "che dopo venti scontri e diciannove vittorie morì a 48 anni, nel combattimento al termine del quale avrebbe dovuto ottenere la "rudis", simbolo della meritata pensione. Ancora più straordinaria fu la carriera di un altro gladiatore, Massimo, che vinse trentasei combattimenti su quaranta.

Anche l’esito di questi derby con la morte non dipendeva dal pollice, o almeno non da quello alzato. Per chiedere la morte si usava il pollice teso, in alto o in basso non importava, a imitazione del gladio che avrebbe colpito. Per la grazia, pollice piegato e stretto nel pugno chiuso, come la spada che viene rifoderata. Un questore, racconta Marziale, invece era solito ordinare il colpo di grazia soffiandosi il naso: a un "munus" in dicembre si raffreddò e fu subito strage.