di Gianni Leoni
Piuttosto schivo, ma sempre gentilissimo, lasciava scorrere giornate tutte uguali tra l’orto davanti a casa e un po’ di tv. A 62 anni non c’era più nulla, nei tratti e nel comportamento di Wolfgang Abel, del giovane montato e un po’ spavaldo che con il complice Marco Furlan e la sigla neonazista ‘Ludwig’ seminò fuoco, morte e terrore tra la fine degli anni Settanta e la metà degli anni Ottanta. Una vita da pensionato nella quiete di Arbizzano, nel Veronese, con la mamma in là con gli anni assistita da una badante, e l’unico hobby di rifinire le siepi e di coltivare sedani e pomodori.
Da quel lungo silenzio animato quasi solo dai ricordi, Wolfgang Abel è uscito d’improvviso l’altra mattina per un improvviso malore. L’assistente della madre l’ha trovato sul pavimento della sala ed ha avvertito il 118. La diagnosi nell’ospedale di Borgo Trento ipotizza un’emorragia cerebrale aggravata dall’impatto della testa sulle mattonelle. Tornano in scena così, richiamate da quel malore, tante pagine di cronache lontane quando le folli imprese firmate dai volantini firmati ‘Ludwig’ colpivano di volta in volta, omosessuali, barboni, prostitute, preti che ‘non rispettavano la dottrina della chiesa’, cinema a luci rosse, discoteche e altri locali notturni. Una lunga serie di attentati nell’Italia nord orientale, ma anche in Germania e nei Paesi Bassi, messi a segno con asce, coltelli, incendi, martelli e punteruoli. La sigla del terrore prese forma tra i banchi di un liceo di Verona dove Wolfgang e Marco si conobbero, cominciarono a frequentarsi e a delirare su come ‘ripulire il mondo dai deviati’.
Stessi studi, stessi sogni, stesse menti malate. Wolfgang, veniva da Monaco di Baviera al seguito del padre, consigliere delegato di una compagnia assicurativa tedesca. Bell’ambiente, bell’aspetto, educazione severa, modi cortesi e progetti folli. Come Marco, figlio del primario del Centro Ustionati dell’ospedale civile di Verona, splendida casa nel prestigioso quartiere di Borgo Trento, altissimo profitto scolastico, amicizie scelte e pensieri carichi di cupi presagi.
L’esordio nel sangue rimanda all’estate del ‘71, periferia di Verona. Dormiva sulla sua malandata Fiat 127, il nomade senza tetto Guerrino Spinelli, e quando intravide il bagliore del fuoco tentò di aprire lo sportello, ma su quel gesto finì la sua vita. Nel dicembre dell’anno dopo ‘Ludwig’ scelse una lama per una tempesta di fendenti senza scampo contro un giovane cameriere omosessuale di Padova. Come il 12 dicembre ’79, per massacrare un tossicodipendente di Venezia. Un crescendo di sangue e di orrore. Ascia e martello per assassinare una prostituta, nel 1980, e terribile aggressione contro due frati, Gabriele Pigato e Giuseppe Lovato, il 20 luglio ’82, uccisi a martellate mentre passeggiavano.
Il 26 febbraio ’83 ‘Ludwig’ prese di mira don Armando Biason, centrato sul cranio da un punteruolo attaccato a un crocifisso. Poi le stragi. Benzina e cerino per dar fuoco al cinema a luci rosse ‘Eros’, di Milano, con 6 morti e 32 feriti, il 14 maggio ’83, benzina e cerino contro il locale sexy ‘Casa Rossa’, di Amsterdam, 13 morti, e ancora fuoco contro la discoteca ‘Liverpool’, di Monaco di Baviera, un morto, sei feriti. L’ultima sortita il 4 marzo ’84, ebbe qualcosa di grottesco. Era l’ultimo giorno di carnevale, maschere, coriandoli e stelle filanti, balli e brindisi nella discoteca ‘Melamara’, 400 persone a Castiglione delle Stiviere, nel Mantovano, dove a un tratto comparvero due curiosi personaggi travestiti da Pierrot. Qualcuno li notò mentre versavano benzina. E per ‘Ludwig’ fu la fine. Dietro lo pseudonimo c’erano loro: Wolfgang e Marco. Manette e condanne per 15 di una trentina di attentati, fuga e nuove catture, 27 anni di carcere per buona parte scontati. Furlan è libero dal 2010. In prigione ha aggiunto, a una laurea in matematica, quella di ingegneria informatica. Il suo vecchio compagno in terrore, ha sempre sostenuto di essere innocente ed ha concluso il suo debito con la giustizia il 24 novembre 2016. Da allora Wolfgang viveva ad Arbizzano con la madre e la badante. L’orto era il suo rifugio: zucchine, sedano, carote e siepi da potare. Ludwig era uno sbiadito ricordo oltre l’orizzonte.