A VOLTE si scivola nel patologico. Esempio: può capitare che ti offrano a 30mila euro l’unica opera di Marinetti che manca alla tua collezione di prime edizioni futuriste. Se decidi di comprarla, pur avendo ottomila euro in tutto sul conto corrente, allora vuol dire che c’è un problema. Grave. Il collezionismo è una malattia pericolosa e affascinante, perché può far perdere il lume della ragione come un grande amore non corrisposto. Lo sa bene chi è più o meno affetto dal morbo. Ho visto lampi di odio negli occhi di un grassoccio e attempato austriaco che si è fatto portare via sotto il naso, nella vetrina di un libraio, il numero più raro di una celebre rivista della Secessione viennese. Ha abbordato l’acquirente, al limite della denuncia per molestie, nel vano tentativo di convincerlo a vendergli quella rarità appena acquistata. Collezionare libri, diceva un geniale scrittore canadese del secolo scorso, combina le peggiori caratteristiche di un drogato e di un taccagno. Cambia poco se l’oggetto del desiderio è un francobollo, un disco, una conchiglia o una bacchetta di Harry Potter (sì, qualcuno raccoglie anche quelle).
ATTORNO a noi appassionati raccoglitori soffia un’antica aria di ostilità e sospetto: gretti, egoisti, senza scrupoli, anche nell’opinione di menti raffinate come Stendhal ("Nulla rende lo spirito angusto e geloso come l’abitudine di fare una collezione"). Eppure il collezionismo, quando è genuino, è intelligenza e amore. Quell’intelligenza che porta a ricostruire pazientemente pezzi di memoria o di antica bellezza. Quell’amore che tiene viva la voglia di cercare, perché cercare è più importante che trovare (circola una storiella: "Raccolgo libri introvabili. Quanti ne ho? Nessuno"). È un’emozione imbattersi in una lettera autografa in cui Luigi Einaudi racconta con l’entusiasmo di un ragazzino la sua passione per i libri. O trovare in un mercatino quella locandina pubblicitaria che Simenon descrive nell’incipit di un suo grande romanzo. Oppure la cartolina in bianco e nero del paese di famiglia. No, il collezionismo non fa male. Anzi, aumenta l’autostima e la capacità di concentrazione. Lo dice una ricerca dell’Ipsos. Meglio credere all’Ipsos che a Stendhal.