Richard Douglas Fosbury, spentosi ieri in America a 76 anni, sta allo sport come Enzo Ferrari all’automobile, come Elvis Presley alla musica leggera, come Giotto alla pittura, come Michelangelo alla scultura. E potrei continuare, vincendo la commozione per l’addio a un idolo che ho avuto l’onore di conoscere.
Il mio amico Richard, detto Dick, ha semplicemente rivoluzionato in modo definitivo uno dei gesti più naturali nella vita di ogni uomo: il salto in alto. Prima di lui, affrontavamo un ostacolo con la classica sforbiciata dei bambini. Oppure con lo stile detto ventrale: fronte alla barriera, il corpo che si avvita e che sale. Nulla di straordinario, funzionava così. L’essere umano guarda in avanti, vede l’asticella e si comporta di conseguenza.
Fosbury, no. Fosbury apparteneva allo spirito del mitico Sessantotto. Fra tante scemenze, quella epopea socio culturale produsse una idea folgorante: l’immaginazione può andare al potere.
Ah, il Sessantotto! Gli storici ancora non hanno finito di scannarsi su pregi e difetti di un simbolo non solo anagrafico. Ma non c’è dubbio: la spinta al cambiamento, alla innovazione, alla sperimentazione felicemente ignara dei limiti, arrivò ovunque.
Anche sulle pedane dell’Oregon, dalle parti di Portland. Dick Fosbury era un ragazzo innocente, studiava ingegneria alla università e mi raccontò che sudando sui libri gli balenò un pensiero folle. Stava leggendo testi sulla fluidodinamica, sull’attrito dell’aria, sul movimento dei corpi solidi nello spazio. E fu una illuminazione.
"Io praticavo il salto in alto – mi disse Dick quando finalmente ebbi la gioia di incontrarlo, a Londra per la Olimpiade del 2012 –. Mi domandai cosa sarebbe successo se mi fossi lanciato verso l’ostacolo salendo di schiena. Il mio allenatore mi rispose: e chi saresti tu per stravolgere millenni di storia umana? Replicai: sono Dick Fosbury e voglio provare a salire verso le stelle come se fossi un gambero…".
Ah, che cosa è il genio? È una scintilla scagliata all’insù da due pietre sfregate tra loro, è la luce violentissima che spunta nel buio, è l’amore per una emozione che incendia l’universo.
Era il 1968 e tutto sembrava possibile. Fosbury guadagnò l’ammissione alle qualificazioni per l’Olimpiade messicana. Lo credevano pazzo, lo presero per pazzo: solo lui applicava quello stile selvaggio tra i saltatori, dove accidenti voleva andare?
Voleva andare sul gradino più alto del podio, ai Giochi. Quando arrivò, i tifosi messicani sugli spalti diventarono matti. Ammiravano dal vivo la dimensione rivoluzionaria di un gesto in apparenza semplice, ma clamorosamente distinta è distante da qualunque precedente. Vedevano, i messicani, quel tizio strambo e strano e si innamoravano del “Fosbury Flop”, il salto di Fosbury, e non credevano ai loro occhi. Non ci credevano nemmeno gli avversari.
Mi spiegò una volta Giacomo Crosa, sesto in quella finale olimpica, poi brillante giornalista: "Fu per tutti uno shock, avevamo visto qualche filmino in superotto del salto di Dick, ma trovarselo in pedana fu qualcosa di incredibile".
Fosbury vinse l’oro olimpico, saltando 2,24. Gareggiò anche con due scarpe di colore diverso: non per errore, essendo un genio aveva anche calcolato che c’era una differenza sulla prestazione, una vernice “impattava” meno contro l’aria, salendo di schiena.
Oggi, me ne rendo conto, tutta questa storia suona incredibile, lo so. Per fortuna è vera, così come è vero che Dick si ritirò dalla attività subito, già nel 1969. Gli chiesero di continuare, gli offrirono di trasformarsi in una Star. Non avevano capito: lui voleva diventare ingegnere e lo è stato per tutta la vita. Da decenni, in ogni angolo del pianeta, bambine e bambini saltano esclusivamente con il suo stile, che è diventato universale e unico.
A Londra nel 2012, quando trascorremmo un po’ di tempo assieme, perché toccava a Fosbury premiarmi per il mio record di partecipazioni olimpiche come giornalista, mi regalò una battuta strepitosa. "Sai, se prendessi un centesimo per ogni salto di chi mi ha copiato, beh, sarei l’uomo più ricco sulla faccia della terra".
Caro, indimenticabile e irripetibile Dick. Ci hai insegnato anche questo: le rivoluzioni non si fanno per i soldi. Le rivoluzioni si fanno per amore di una idea.