Una storia diversa, una fotografia di sua figlia che non riconosce. Dolore che si aggiunge al dolore. Chi è Filippo Turetta? Certamente non Pablo Escobar. E Giulia? Una ragazza che è stata uccisa, ma che se fosse stata terrorizzata da lui non sarebbe andata all’ultimo appuntamento. Bisogna immaginarla, la faccia di suo padre Gino, mentre ascolta da lontano la domanda della difesa alla Corte veneziana nel processo che ruota attorno all’assassinio della sua bambina: se Giulia avesse avuto qualche timore, l’11 novembre 2023 avrebbe accettato di incontrare il giovane uomo che aveva lasciato? Siamo ai fondamentali del femminicidio: nessuna sa mai quando sarà l’ultima volta. Anche il pm Andrea Petrone, che ha chiesto l’ergastolo, lo aveva detto chiaro: questo è un delitto che fa scuola. Ma quel dubbio viene lanciato in aula per dimostrare che Giulia Cecchettin non aveva paura del suo ex, non c’è stata premeditazione né persecuzione e 75 coltellate più il resto sono scappate di mano a un ragazzo timido, insicuro, incapace di gestire le proprie emozioni.
Suo padre si mostra sempre a schiena dritta ma deve essere stanco. Si prende in silenzio i siluri di chi lo accusa di esibizionismo, non si concede sbavature emotive e continua a parlare d’amore come antidoto alla violenza. Però questa volta è costretto a farne una questione personale. "Ieri mi sono nuovamente sentito offeso e la memoria di Giulia è stata umiliata". Punto cardine della difesa era dimostrare che l’imputato reo confesso non aveva pianificato l’omicidio. Nella requisitoria di martedì gli avvocati hanno affermato che la lista di oggetti compilata il 7 novembre e trovata nel cellulare testimonia "la premeditazione di un sequestro, non di un omicidio". Eccola: "Calzino umido in bocca, togliere le scarpe, legare le caviglie sotto e sopra ginocchia, bloccare portiere auto". Domanda del difensore: "È l’elenco di chi vuole uccidere? Chiudere le portiere perché non scappi dopo averla uccisa? Devo mettere un calzino in bocca e levare le scarpe a un cadavere?". Cecchettin sussulta e scrive sui social: "La difesa di un imputato è un diritto inviolabile, garantito dalla legge in ogni stato e grado del procedimento. Tuttavia credo che nell’esercitare questo diritto sia importante mantenersi entro un limite che, pur non essendo formalmente codificato, è dettato dal buonsenso e dal rispetto umani". Travalicarlo, aggiunge, rischia di aumentare il dolore dei familiari della vittima e di suscitare indignazione in chi assiste.
Indignazione, tanta. Dentro e fuori dall’aula. La pubblica accusa ha chiesto l’ergastolo spiegando che la morte di Giulia è stato l’ultimo atto del controllo che Filippo voleva esercitare su di lei. Lo proverebbero altre liste. Quelle che il ragazzo aveva scritto sui comportamenti della sua "ossessione" e il diario che lei aveva cominciato a scrivere per ricordare a se stessa i motivi che l’avevano spinta a lasciarlo. Lei annotava: "Ha idee strane sul farsi giustizia da solo, i mie spazi non esistono, dice cattiverie pesanti, mi controlla".
In serata la contro-replica dei legali di Turetta a Cecchettin: "Come difensori siamo assolutamente certi di non aver travalicato in alcun modo i limiti della continenza espressiva e di non aver mancato di rispetto a nessuno. Abbiamo solo svolto il nostro dovere in uno Stato di diritto" hanno sottolineato gli avvocati Giovanni Caruso e Monica Cornaviera. La sentenza del processo è attesa per il 3 dicembre.