Smontare la premeditazione, le aggravanti della crudeltà e dello stalking. Riconsiderare Filippo Turetta come un ragazzo sentimentalmente analfabeta travolto da un raptus "a cortocircuito", senza però minimizzare la morte atroce inflitta a Giulia Cecchettin. È una montagna quella che deve scalare la difesa nella requisitoria di tre ore il giorno dopo la richiesta dell’ergastolo da parte del pm Andrea Petroni. Ci prova l’avvocato Giovanni Caruso, un passo dopo l’altro. E ai giudici veneziani domanda: "Veramente credete che Turetta si prefigga di farla franca?". Sullo sfondo quei magistrati dell’accusa che si sono sentiti "presi in giro" da un bugiardo. E che hanno proposto per lui il carcere a vita. Tutto si gioca lì: su una pena giudicata "vendicativa, inumana e degradante". Da infliggere "con cautela" a un ventiduenne. "Dico una cosa molto triste – azzarda il legale –. Sapete qual è l’unico ambiente ospitale in cui Filippo può essere considerato un essere umano? Il carcere. Tra compagni di cella che vivono di un’incrinatura più o meno irreparabile. La società oggi non è pronta per ospitare Turetta ed è giusto che sia così, perché la pena significa tanto tempo. E lui lo sa: gran parte della sua giovinezza la trascorrerà con questa umanità compromessa". Accetterà l’ergastolo se ergastolo sarà. "Ma non lo teme, non gli interessa. È solo dispiaciuto per essere stato descritto come una persona che mente". Ha mentito anche a lui, però non voleva dileggiare nessuno. "Filippo è un ragazzo che si è sabotato nel corso del tempo – spiega l’avvocato –. Lo si può ritenere un manipolatore perverso, un cinico. Ma ha solo sperimentato la sofferenza delle relazioni in modo patologico. Non è stato all’altezza di gestire le proprie emozioni".
Timido, insicuro, certamente non un Pablo Escobar. Abbagliato da "una vera e propria epifania quando ha incontrato una creatura meravigliosa come Giulia". Ma sentimentalmente sordo. La difesa chiede di non riconoscere le aggravanti e insiste: niente legge del taglione, niente "crucifige. La rieducazione sia l’obiettivo. Un’allegoria per rendere l’idea: "Io sono il colibrì, voi siete il leone, non abbandonate la foresta in fiamme – dice Caruso –. Mi appello al principio di legalità che vi impone di giudicare Turetta con un braccio legato dietro alla schiena. È la magna carta della giustizia e protegge anche voi della Corte". Lo ammette: "Oggi ho un compito non facile. Difendere un imputato reo confesso di un omicidio efferato e altri reati satellite". Ma torna sempre sul punto: "L’ergastolo è il tributo che lo Stato di diritto paga alla pena vendicativa". Ricorda che non si tratta di un processo indiziario, c’è da decidere solo la condanna. Non c’è stata premeditazione, piuttosto un "vediamo un po’ come va". Perché "se c’è uno che non sa premeditare alcunchè è proprio Filippo Turetta, non me ne voglia".
Insicuro agli esami, incerto se tornare a giocare a pallavolo. "Ha agito in preda all’emotività sferrando colpi alla cieca", si è trattato di "un’aggressione a cortocircuito". E Giulia, insiste la difesa, non aveva paura di lui, andavano insieme persino ai concerti. Quindi salta anche l’aggravante dello stalking. Filippo "era ossessionato e aveva un comportamento petulante, oserei dire insopportabile". Ma se ne fosse stata terrorizzata, incalza la difesa, "l’11 novembre 2023 sarebbe andata all’ultimo appuntamento?".