Giulia Cecchettin ha vissuto nella paura per 12 mesi. Si confida già a ottobre 2022, ribadisce i suoi timori un anno dopo in un messaggio a Filippo Turetta: "Tu mi spaventi, ti comporti come uno psicopatico". L’atto finale, la sera dell’11 novembre 2023, si compie in fretta. Il primo assalto nel parcheggio di Vigonovo: "Era cosciente e chiedeva aiuto". Poi l’ex fidanzato la costringe a risalire in auto. E prima di arrivare a Fossò la aggredisce fino a farla "sanguinare copiosamente". Settantacinque coltellate, 25 ferite da difesa alle mani, mortali i colpi sulla nuca: "Un’azione omicidiaria di almeno venti minuti".
Al pm Andrea Petroni occorrono due ore e mezza di requisitoria per ricostruire la prigione di terrore e la morte della ventiduenne che ha cambiato per sempre gli orizzonti del femminicidio. E alla fine arriva la richiesta di ergastolo per l’imputato accusato di omicidio volontario aggravato dalla premeditazione, crudeltà, efferatezza, sequestro di persona, occultamento di cadavere e stalking. La sentenza è prevista per il 3 dicembre.
È un racconto agghiacciante, circostanziato. E cade proprio il 25 novembre, la Giornata contro la violenza sulle donne. Tuttavia un pubblico ministero deve fermarsi ai fatti: "In queste carte non ci sono riflessioni sul femminicidio – dice Petroni –. Qui si parla di un’indagine condotta con la massima prudenza, con capi d’accusa che sono gli stessi dall’inizio. In questa sede si accertano solo le responsabilità individuali". Ma è una lezione per tutti, almeno per chi vuole capire. Filippo: un bravo ragazzo, per le carte "crudele, ossessivo, bugiardo". Preciso nell’organizzare un delitto che – insiste il pm – teneva in incubazione da mesi e che fra il 7 e l’11 novembre 2023 ha preso forma nella "lista della spesa", impossibile non pensare alla premeditazione.
Già sull’orlo del baratro il giovane uomo si preoccupa per il dopo: fare sparire le tracce informatiche, considerare le modalità di individuazione della sua posizione durante la fuga, congratularsi per essere riuscito a nascondere il corpo, alle tre di notte, in un anfratto di roccia difficile da raggiungere, trovato su internet alla voce luoghi occulti. E no, incalza l’accusa, non ha mai pensato al suicidio, era una forma di ricatto. Filippo è in aula anche questa volta, con la felpa rossa e la testa abbassata. Attorno alle parole del pm si addensa un silenzio pesantissimo. E quello che all’assente Gino Cecchettin resta da dire arriva dalla Camera dove si svolge il convegno ’Tante facce ma è sempre violenza’: "Aveva la possibilità di fare una scelta: salvare la propria vita e quella di mia figlia aderendo ai canoni dell’amore. Io potrei parlarvi di rabbia, di giustizia e certezza della pena, ma la mia scelta è parlare di come si arriva a non commettere un femminicidio".
Al pm la parte difficile: Giulia che voleva sparire ma si sentiva in colpa "perché era legata a filo doppio a Turetta". Gli atti persecutori, i maltrattamenti, le richieste ossessive. Quelle minacce: "La mia vita è finita e anche la tua se non ci laureiamo insieme. Ti farò pentire di tutto il male che mi stai facendo". Filippo, ricorda il pubblico ministero, non confessa per costituirsi ma perché ha finito i soldi. E manipola gli inquirenti: "Mi sono sentito preso in giro da lui. Se quella settimana avesse nevicato, staremmo ancora cercando il corpo". E spiega, "siamo di fronte a un caso di scuola di femminicidio".