di Nina Fabrizio
"Perché la soluzione dei due popoli, due Stati funzioni si deve risolvere il problema di Gerusalemme, il cuore del conflitto. Se lo si farà trasformandola in una città aperta come ha sempre detto l’Onu, saremo di fronte all’opportunità unica di ottenere la pace". Ne è convinto padre Ibrahim Faltas, vicario della Custodia di Terra Santa, francescano di origini egiziane che si è spesso trovato in ruoli da protagonista nei crocevia della storia mediorientale: mediò lui nell’assedio della Natività a Betlemme; era con Abu Mazen quando questi negoziava gli accordi di Oslo al seguito di Arafat; due settimane fa ha guidato una delegazione di cristiani che si è formalmente incontrata con il nuovo leader della Siria liberata dagli Assad, Abu Mohammed al Jolani. Addirittura, Faltas era all’inaugurazione della nuova Notre Dame a Parigi il 7 dicembre scorso dove ha scambiato una parola anche con il neo presidente Usa, Donald Trump.
Che cosa vi siete detti?
"Anche a Trump ho detto che se risolve la questione di Gerusalemme Est un vero piano per la convivenza avrà successo. Lui mi ha detto che subito dopo l’insediamento verrà qui, è una sua priorità. Ha 4 anni di fronte ed è il suo ultimo mandato, non può perdere la partita del Medio Oriente".
Che altro serve per fare sì che la tregua regga?
"Ieri è stata una giornata storica dopo 471 giorni di guerra. Ora, dopo 70 anni di instabilità, la comunità internazionale deve spingere al massimo e puntare sul presidente dell’Autorità nazionale palestinese. Lui è disponibile a governare a Gaza e serve l’appoggio anche degli israeliani".
Ma tutti dicono che Abu Mazen sia debole.
"Non è debole. Abbiamo visto quello che ha fatto a Jenin. Intervenire così a Jenin non è una cosa che può fare chi è debole. È un prezzo che ha pagato ma Abu Mazen ha salvato la Cisgiordania dal diventare una nuova Gaza".
Lei sembra rilanciare la formula degli accordi di Oslo, ma quegli accordi fallirono.
"Barak e Arafat erano arrivati a una soluzione dei problemi profughi e confini, era rimasto aperto il dossier Gerusalemme. Preparavo la messa di Natale, arrivò Arafat e mi disse: dopo le festività torniamo a Camp David a firmare. Gli dissero che i palestinesi avrebbero preso solo una parte della città. In quel momento Arafat non accettò e da lì gli eventi precipitarono".
Cosa c’è di diverso adesso?
"I troppi morti. E il fatto che finalmente anche tanti israeliani sono d’accordo sullo stato palestinese. Me ne ha parlato anche l’ex presidente Olmert. Se si vuole, si può fare".