Lo studio di Palazzo Koch racconta un’area di privilegio resistente all’innovazione. La ricerca prende a riferimento le retribuzioni di risultato relative al 2012 di 2.159 dirigenti ministeriali e di un campione qualificato di dirigenti regionali. «In media – tra i ministeriali – la retribuzione di risultato è pari a circa il 9% della retribuzione totale per i dirigenti di prima fascia e al 12% per quelli di seconda».
Clamoroso che la voce della busta paga legata ai target raggiunti rappresenti il 9% dell’intero stipendio (di un dirigente ‘tipo’ di prima fascia) togliendo quindi al raggiungimento dei risultati l’autentica funzione incentivante. Questa asimmetria tra roboanti dichiarazioni improntate al merito e assai più ragionieristiche prassi contabili trova matematica rappresentazione sulle retribuzioni della dirigenza regionale i cui aumenti di risultati sono banalmente ancorati all’età (ogni anno in più di anzianità vale il 6%). Ancora: «Il possesso di un titolo di studio post-laurea, la conoscenza delle lingue straniere, le esperienze lavorative pregresse non incidono sulla retribuzione di risultato».
«TUTTO VERO, purtroppo», ammette il sindacato dei dirigenti Unadis, il cui segretario generale Barbara Casagrande invoca «regole uniformi», disboscamento della «giungla retributiva» e nuovi sistemi di «misurazione della performance»: «Basta con amministrazioni ricche e amministrazioni povere. Basta con amministrazioni severe e amministrazioni più flessibili». Secondo Unadis, sarebbe l’ora di «un unico contratto collettivo nazionale quadro» affiancato da «integrativi di sede» con reclutamento apicale realmente «selettivo e meritocratico».
Emerge invece, secondo Bankitalia, tutta «l’inefficacia dell’attuale sistema di valutazione». Al di là di tante promesse, la cuccagna pubblica è albero per nulla scivoloso e anzi carico di frutti garantiti grazie a un «sostanziale appiattimento dei premi erogati, il cui ammontare risulta influenzato solamente dall’età» dei dirigenti e «non da altre caratteristiche individuali». Manca poi una chiara «programmazione degli obiettivi strategici».
Secondo le ricercatrici, «alcuni profili dell’impianto delineato dalla riforma Madia sembrano rispondere alle criticità sottolineate». Ma, attenzione, la burocrazia è allenata all’arte del rimpallo. E per vincere la mano, la ministra della Pubblica amministrazione dovrà superare una straordinaria forza d’inerzia.