Viviana
Ponchia
Avere paura di Barbie è come essere terrorizzati da Marilyn Monroe e Audrey Hepburn. Negarla alle bambine come vorrebbe Laura Boldrini, per farle sognare in grande dirottandole sul meccano o su un’astronave, significa dimenticare due cose: questa bambola ha insegnato che si può sognare di diventare chiunque. Al punto che lei, nel suo piccolo, sulla Luna ci è andata nel 1964 prima di Neil Armstrong. È stata la bionda (e poi la bruna, la curvy, la disabile) più indaffarata d’America. Modella, insegnante, infermiera, assistente di volo, ballerina, veterinaria, ambasciatrice Unicef, candidata alla Casa Bianca e membro della Major League di baseball. Una donna adulta, non una neonata da accudire.
Che cosa dovrebbe ancora inventarsi per farsi volere bene con la devozione dell’ex fidanzato Ken, che in una esilarante lettera aperta al Time qualche tempo fa scriveva: "Devo accettare che la donna che amo ha subito molte metamorfosi. Ma io non la amerò di meno e mi auguro che non la amerete di meno voi. Dobbiamo lasciarla cambiare". Ecco, tra le altre cose è riuscita nell’impresa di strappare un bambolotto muscoloso al suo narcisismo, altro che icona mielosa. E poi è stata la prima a combattere contro il pregiudizio. All’inizio la accusavano di essere fisicamente diseducativa. L’International Journal of Eating Disorders fece le proporzioni e concluse che si trattava di una donna alta 1,75 con 99 centimetri di seno, 53 di giro vita e 83 di fianchi: troppo magra, di certo in cattiva salute. Ci fu chi disse che aveva il ciclo irregolare. Chi si meravigliava di come facesse a camminare con le gambe lunghe più del 50% rispetto alle braccia. Lei non si arrese.
Arrendersi non era nelle corde di questa creatura mitologica che alla prima apparizione ebbe l’ardire di indossare un costume zebrato, sandali e occhiali da sole. Antonio Russo, medico napoletano tra i più grandi collezionisti di Barbie del mondo, è convinto che la sua adorata paghi il preconcetto secondo cui essendo bella tutti vogliono somigliarle. Un’idea tutto sommato assai maschilista, ci pensi l’onorevole Boldrini.
In realtà è lei che si è sforzata di assomigliare a tutte. Nel 1997, facendosi chiamare Becky, finì su una sedia a rotelle. Un modo radicale per sovvertire l’idea di perfezione e dimostrare che anche una bambola ha i suoi problemi. La carrozzella non entrava nella meravigliosa Casa dei sogni di Barbie, la Mattel promise di adeguare gli accessori ma per ora niente. Lei continua a sognare. E invita le bambine a fare altrettanto.