di Giovanni
Panettiere
"Talvolta mancano controllo e formazione specifica degli assistenti sociali, i giudici tutelari dovrebbero avere poteri effettivi di verifica degli affidamenti temporanei consensuali dei minori. E, invece, hanno un ruolo di mera omologazione dei decreti emessi dai sindaci". Il primo atto della vicenda processuale sugli affidi a Bibbiano – quattro anni allo psicoterapeuta Foti, un’assistente sociale assolta e diciassette rinvii a giudizio, fra questi anche quello del primo cittadino del Comune nel Reggiano – smaschera i limiti di un istituto giuridico che, a detta del giudice Melita Cavallo, necessita di essere rivisto. "Migliorato, non stravolto", precisa l’ex presidente del Tribunale per i minorenni di Roma e oggi volto tv a Forum.
Da dove bisognerebbe partire?
"Dalla considerazione che la legge 18483, disciplinante l’affidamento temporaneo, è una buona norma, perché prevede l’affidamento consensuale, di per sé meno traumatico per la famiglia di origine, di un bambino costretto a vivere in un contesto familiare inadatto alla sua crescita e formazione. L’ultima riforma poi, datata 2013, rivede l’istituto e riconosce, tra l’altro, un sacrosanto diritto di prelazione nell’adozione per la coppia affidataria".
E lo strapotere dei servizi sociali nell’iter di affidamento dove lo mettiamo?
"A loro è conferito un ruolo preminente. Le loro relazioni e quelle degli psicologi determinano nei fatti la decisione di disporre l’affidamento, attraverso decreto del sindaco, che il giudice tutelare si limita ad omologare. Il che non sarebbe di per sé un problema. Il nervo scoperto sta nella scarsa formazione specifica degli assistenti sociali. Quelli davvero preparati sono un’eccezione, purtroppo".
Il resto?
"Sono professionisti che si occupano di più settori: passano dagli anziani ai disabili ai minori. Mancano figure squisitamente dedicate a bambini e ragazzi in difficoltà".
Che ruolo gioca il giudice tutelare nell’iter di affidamento consensuale?
"Non ha poteri di verifica e controllo dell’operato dei servizi e degli psicologi. Non può, o almeno non è tenuto a farlo a livello legislativo, incontrare i genitori del minore, il minore stesso, né i potenziali affidatari. Il Tribunale per i minorenni interviene solo se insorgono successivamente delle controversie oppure qualora non si riesca sin dall’inizio a percorrere la via consensuale".
Bibbiano è l’apice di un sistema che non funziona?
"No, non sarei così drastica anche se ci sono di sicuro realtà in sofferenza, come al Sud. Nel Reggiano sono emersi interessi discordanti da quelli dei minori, ma non possiamo fare di tutta un’erba un fascio".
In Italia si fanno pochi o troppi affidamenti?
"Credo che se ne potrebbero e dovrebbero disporre di più".
All’interesse del bambino si finisce per anteporre e tutelare la famiglia di origine e la responsabilità dei genitori?
"La questione va posta. A partire dalla mia esperienza posso dire che in Italia le famiglie sono sempre più in sofferenza. Diminuiscono quelle per bene; i genitori, nonostante l’avanzare dell’età, non vogliono rinunciare ad ogni costo alle loro scelte egoistiche: fioccano le separazioni e le nuove relazioni fra persone che si conoscono via social. Aumentano violenze di tutti i tipi dentro le case, anche quelle dei cosiddetti insospettabili, alle quali inevitabilmente assistono i bambini".
In mezzo ci sono loro.
"Spesso sono abbandonati a trascorrere i pomeriggi davanti a computer o cellulari. In alcuni casi non hanno più contatti con i loro padri. Ricordo la storia di una cinquantenne, giunta alla sua quinta convivenza, che aveva un figlio ancora piccolo desideroso di ricongiungersi non con il papà biologico, quanto con un altro ex della donna, uno che era riuscito a trasmettergli affetto. Ma lei non sapeva nemmeno più dove rintracciarlo".
Inutile poi stupirsi se il 55% dei minori diffonde in Rete i suoi dati sensibili senza porsi troppi problemi.
"Anche questo è il segno di una ricerca di attenzione che spesso non riescono più ad avere in famiglia".