Parma, 6 maggio 2020 - "Sono un medico di famiglia, e capisco che cosa si prova a stare nei panni del malato, perché anch’io ho dovuto lottare con tutte le mie forze contro questo Coronavirus. Mi considero fortunato per essere stato preso in cura in Lombardia e trattato con il plasma ricco di anticorpi neutralizzanti ricavati dal sangue di donatori convalescenti". Mario Scali parla della sua malattia senza reticenze, e mostra una riconoscenza incondizionata nei confronti dei colleghi che lo hanno preso in carico somministrandogli una terapia sperimentale che sta suscitando grandi entusiasmi da un lato, e inviti alla prudenza dall’altro.
Dottore, che cosa le è capitato? "Sono stato ricoverato 19 giorni all’Ospedale di Mantova, dove lavora anche mia moglie immunologa, nel reparto malattie infettive. Mi era venuta la febbre, l’affanno, altri segni caratteristici, insomma ai primi sintomi ho capito che mi ero beccato l’infezione da Coronavirus".
Adesso sta bene, ha superato la fase critica? "Ora sono guarito, finalmente posso dirlo. Lo hanno provato anche le analisi sierologiche e molecolari cui sono stato sottoposto, un doppio tampone negativo, le immunoglobuline G positive, e IgM negative, segno che ho affrontato una malattia impegnativa che mi toglieva le forze e che avrebbe potuto prendere una brutta piega se non avessi avuto la fortuna di essere sottoposto alla terapia con plasma iperimmune, ricco di anticorpi neutralizzanti contro il virus Sars-Cov-2".
Lei attribuisce la guarigione a un protocollo terapeutico con un emoderivato, in questi giorni è al centro dell’attenzione. Ma il ministero sembra essere prudente, su questa strategia, secondo lei perché? "Vede, l’invito alla prudenza è legato al fatto che questa è una malattia ancora poco conosciuta, ma la terapia con le immunoglobuline ha una lunga storia. Io ho seguito i corsi di evidence based medicine della Fondazione Gimbe , concordo pienamente sul fatto che devono esserci delle prove di efficacia robuste perché una terapia possa entrare in un protocollo condiviso. Però sono meravigliato, e anche deluso da certe affermazioni che ho letto nella mia regione".
In che senso deluso. In fondo questa terapia si sta affermando. Diverse regioni l’hanno sposata e sono sempre più numerosi i centri trasfusionali che si adoperano per raccogliere le donazioni. "Tuttavia io risiedo a Parma, e da quello che ho letto sul sito istituzionale mi pare che la Regione Emilia Romagna abbia un atteggiamento che definire prudente è poco. Io sono entrato nel protocollo del plasma iperimmune nell’ospedale Carlo Poma di Mantova. E dopo un paio di giorni sono migliorato, tanto che mi hanno passato dalla ventilazione assistita all’ossigeno con maschera di Venturi fino alla respirazione spontanea nel lasso di tempo di otto giorni. Ho pensato allora cosa potevo fare per segnalare questa esperienza positiva e ho pensato di scrivere al direttore del reparto malattie infettive del Policlinico Sant’Orsola Malpighi di Bologna".
La prudenza è doverosa, visto che si tratta di una trasfusione e abbiamo a che fare con un virus mai visto prima. "Non credo che il plasma possa essere una terapia da utilizzare subito e per tutti i pazienti. Ma ritengo che sia una terapia che merita di essere sperimentata e valutata, e che potrebbe aiutare qualche paziente. C’è chi l’ha definita un tormentone, avvicinandola alla terapia Di Bella e al siero Bonifacio".
Terreno scivoloso... "Ma io dico, anche la Fda americana ha preso in considerazione il plasma. In Italia si sta sperimentando a Mantova, Pavia, Pisa, Padova, mi resta oscuro il motivo per cui da altre parti si sollevano resistenze e perplessità".
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