Roma, 26 agosto 2019 - Lo schianto e la fuga, soprattutto per evitare l’arresto, soprattutto quando si guida da ubriachi o drogati. Un ritmo quotidiano che non dà tregua. È l’estate dei pirati, sulle nostre strade. E nella statistica cominciano a entrare di prepotenza le donne. Luglio è stato un mese da paura: 115 episodi in totale, 13 mortali, 11 con 15 vittime concentrati in due settimane (due sono esiti fatali di casi risalenti a giugno). Ma è soprattutto il confronto tra i primi sei mesi del 2019 con lo stesso periodo dell’anno scorso a non lasciare dubbi: un incidente grave ogni 8 ore, più di 3 al giorno, 543 contro 454, quasi il 20% in più. In tutto il 2018 i casi di pirateria erano stati 1.005, con 111 morti e 1.136 feriti.
Sono i dati dell’osservatorio Asaps, scrigno prezioso di statistiche e analisi. Il presidente Giordano Biserni sottolinea con l’evidenziatore i numeri chiave. Da gennaio a giugno, i pirati hanno provocato "55 morti e 670 feriti, rispettivamente +17% e +31% sui 47 e 511 del 2018. Una volta su due, chi scappa viene individuato. La percentuale sale al 70% nei casi mortali". Hanno un limite, invece, i report su alcol e stupefacenti. "Gli automobilisti positivi - spiega Biserni - sfiorano il 16%. Ma attenzione, la percentuale è riferita ai soli episodi in cui il pirata è stato identificato immediatamente dopo l’incidente. Perché altrimenti questo dato diventa impossibile da accertare. L’alcol in media si riassorbe al ritmo di 0,10 grammi per litro all’ora. E cosa risponde il pirata che viene finalmente rintracciato? Di solito così: ho bevuto per la paura di quello che mi è successo". Prova a dimostrare il contrario. "Chi scappa pensa di pagare un conto meno salato - è l’analisi –, ma alla fine non è così. L’automobilista dimentica che se anche non risulta positivo ai test, la sola fuga fa aumentare la pena da un terzo a due terzi, con un minimo di 5 anni. Si vuole evitare l’arresto obbligatorio. Però, come dimostrano le percentuali, nella maggior parte dei casi queste persone vengono rintracciate".
Ma allora la legge sull’omicidio stradale esce promossa o bocciata? Non sembra così dissuasiva... "Dipende dai compiti che vogliamo assegnarle - distingue il presidente Asaps –. Già il percorso è stato complicatissimo. Diciamo che siamo andati un po’ sulle montagne russe, con i risultati. Nel 2016, a nove mesi dall’entrata in vigore, le vittime sulle strade erano diminuite. L’anno dopo sono aumentate, scese ancora nel 2018. I primi sei mesi dell’anno ci dicono che la statistica si ribalta di nuovo. Conclusione: il risultato che qualcuno poteva ritenere appetibile, il calo dei morti e degli incidenti gravi, in realtà non c’è stato". La spinta della legge era soprattutto quella di rendere giustizia alle vittime. Ci siamo riusciti? Biserni alla fine risponde con una domanda: "Mi chiedo: in quanti conoscono le pene? Dagli 8 ai 12 anni per chi uccide sotto l’effetto di alcol o droga, fino a 18 in caso di omicidio plurimo. Vado a parlare con gli studenti all’università, nemmeno loro sono informati. Non sanno ad esempio che scatta la revoca della patente per 5 anni se ho bevuto o mi sono drogato e provoco un incidente con lesioni superiori ai 40 giorni. Diventa di 15, in caso di morte". Raddoppia a 30, con la fuga. "Si è molto vicini all’ergastolo della patente", è il commento dell’Asaps.
Da ultimo, un dubbio: "Abbiamo la sensazione che dopo le prime condanne esemplari, di 8 e anche di 11 anni, si sia tornati indietro, a pene più basse, di 3-4 anni, a volte addirittura 2. Perché? Vogliamo verificarlo, ci stiamo lavorando. Certamente gli avvocati hanno affilato le armi. Ad esempio con il meccanismo della responsabilità non esclusiva, richiamando anche quella dell’ente che governa le strade".