Milano – Andrea Lo Rosso ha 60 anni, gestisce un pub di Pompei e da questa mattina il suo telefono squilla incessantemente. E non certo per prenotare un tavolo. Amici, parenti e conoscenti gli chiedono se è reale quanto riportano i notiziari online e i social media: è davvero un Picasso la tela trovata da suo padre in una discarica di Capri più di mezzo secolo fa e appesa in salotto di casa per altrettanto tempo? Anticipata dal Giorno, la notizia dell’autenticità dell’opera, confermata da una recente perizia di una nota grafologa milanese, gli cambierà la vita e non solo la giornata. Quel dipinto, il “Bust de femme Dora Maar”, vale già sei milioni di euro e potrebbe salire al doppio, se arrivasse il sigillo della Fondazione Picasso.
Come si sente, signor Lo Rosso?
“Sono felice ma aspettiamo a brindare, c’è ancora un passo da compiere prima di ritenere conclusa questa storia incredibile. Io continuo a lavorare come faccio ogni giorno nella speranza che anche a Parigi si convincano dell’autenticità del quadro. Anche perché analisi più approfondite di così non si possono fare”.
Facciamo un salto indietro nel tempo: quale è il suo primo ricordo del ritratto?
“Quando mamma lo appese al muro per arredare casa, ribattezzandolo “lo sgorbio” per la stranezza del volto di donna raffigurato, io non ero ancora nato: dai racconti di papà so che le tele recuperate nella discarica di Capri erano due. Solo una però era firmata Picasso. Entrambe erano ricoperte di terra e calce e mia madre le stese a terre lavandole con il detersivo, come fossero tappeti. Che rischio!”
Chi si accorse per primo che potesse trattarsi di un Picasso?
“I miei genitori erano persone semplici, non sapevano nulla di arte. Negli anni ’80 avevano un ristorante a Pompei e per abbellire il giardino papà espose lì la tela, fino a quando un pittore di Roma gli suggerì di spostarla perché qualcuno avrebbe potuto rubarla. Nel frattempo, ancora bambino, io vidi l’immagine di un ritratto identico in un’enciclopedia che mi avevano appena regalato: era il “Buste de femme Dora Maar” di Picasso conservato a Parigi e inserito nel catalogo ufficiale dell’autore. Per i miei fu la prova che la nostra fosse solo una copia. Ma poi, crescendo, feci ricerche storiografiche e mi consultai con vari esperti che mi dicevano di insistere e verificare. Del resto, il pittore trascorse molte vacanze a Capri negli anni ’50”.
Tra gli esperti d’arte uno in particolare...
“Sì, Vittorio Sgarbi. Trascorsi con lui un’intera giornata al termine della quale mi convinse a proseguire nella mia ricerca, perché nessuno avrebbe potuto scrivere nero su bianco che fosse un falso. Mi avvertì anche che i problemi non sarebbero mancati. Aveva ragione: il quadro fu addirittura sequestrato dai carabinieri per una ridicola accusa di ricettazione. Ma, soprattutto, a Parigi non mi hanno mai preso in considerazione. Sono anche andato di persona al museo di Picasso con la tela portata in macchina: mi hanno detto di lasciarla lì e attendere. Figuriamoci, sono tornato a casa con il dipinto. Spero che ora grazie a Fondazione Arcadia le cose possano cambiare”.
Qualcuno le ha mai fatto un’offerta?
“Sì, anni fa mi hanno offerto un milione di euro. Ho rifiutato. Mi hanno pure proposto di farci un film ma è ancora presto. Aspettiamo”.
Che farà se anche la Fondazione Picasso dovesse riconoscere l’autenticità dell’opera?
“Lo metterò all’asta, come ha sempre desiderato papà, purtroppo mancato tre anni fa. Così tutti gli sforzi e i soldi spesi per le perizie (decine di migliaia di euro, ndr) potranno dirsi finalmente ben investiti”.
Non ha un po’ di paura?
“No, il quadro ora è custodito in un caveau ovviamente. Se si riferisce alla criminalità organizzata, posso dire che in questi anni nessuno mi ha mai avvicinato e, se anche un giorno dovessi venderlo, sono convinto che mi lasceranno in pace. Forse perché tutti qui conoscono la mia storia”.
E sua mamma che dice?
“Che le piacerebbe godere almeno un giorno di quella felicità”