Pescara, 25 giugno 2024 – Tre vite bruciate nel tempo di una scarica di fendenti. Una ventina di colpi, forse 25, a quanto trapela dalle indagini. Thomas Cristopher Luciani, 16 anni, un batuffolo di capelli neri su una faccia da bimbo, resta a terra sull’erba sfalciata, macchiata di sangue. Il suo corpo è lì, sotto il muraglione alto dieci metri che regge i binari della ferrovia, un punto invisibile dai vicini palazzi di pregio ai margini del parco pubblico Robert Baden Powell. Un’insegna che da ieri è sinonimo di tragedia.
Sono le 18 di domenica. A uccidere – a quanto pare per un debito di droga di 200 euro – non sono narcos di professione, ma liceali di ottime famiglie: il figlio (che vive con la mamma separata) di un maresciallo dei carabinieri in servizio in una stazione del territorio provinciale e il rampollo di un’avvocata di grido. Coetanei con l’esistenza rovinata, solo a volerlo intuire, nonostante le pose incongrue mostrate agli investigatori della polizia che, sotto la guida della procura dei minori dell’Aquila, provano a far luce su un delitto spropositato.
Forse Thomas, fuggito 48 ore prima dalla comunità di Isernia assegnatagli dal giudice a seguito di una piccola condanna per piccoli reati, non è ancora morto quando i suoi assassini con il coltello da sub insanguinato lo nascondono il corpo tra le sterpaglie e raggiungono il branco di altri 6-7 ragazzi che accompagna la spedizione punitiva che poi diventa esecuzione efferata. Thomas di certo non si aspetta nulla di tutto ciò. Altrimenti non accetterebbe il confronto in un punto così isolato.
Il 16enne viveva a Rosciano con la nonna e già a novembre era finito sui giornali: fuggito di casa, lo avevano ritrovato a Pescara (dove il piccolo spaccio è mestiere diffuso) appena il giorno dopo. Il contesto familiare molto disagiato gli pesa e non assicura controlli. Secondo il programma rieducativo concordato coi magistrati, il 16enne avrebbe dovuto frequentare un laboratorio per parrucchieri a Campobasso. Invece venerdì eccolo ripartire verso la costa. Due giorni allo sbando. Come spesso gli accade, si sopravvaluta e sottovaluta gli altri. Un errore che gli costa la vita.
Così nessuno, se non le telecamere di vigilanza (poi scandagliate dagli inquirenti) fa probabilmente caso a quei ragazzi con facce grintose – oggi così ordinarie – che dal parco raggiungono il mare attraversando la città geometricamente a riposo – qui il Caf, là il salone di bellezza, qui la banca, tutti con le insegne spente. In fondo sono appena 600 metri per arrivare dal quadrilatero degli artisti – via Raffaello, via Michelangelo, via Giotto, via Botticelli – alla spiaggia con i suoi ombrelloni impagliati dove mamme in caftano riportano a casa i bambini cotti dal sole.
I due probabili assassini e il resto del gruppo raggiungono il lungomare, si spogliano e si tuffano verso gli scogli. Fanno il bagno. Forse per un riflesso di assurdo divertimento, forse, anzi probabilmente, anche perché debbono liberarsi del coltello da sub. Quello che i sommozzatori dei vigili del fuoco, arrivati ieri mattina da Ancona cercano e non trovano.
La scoperta dell’omicidio avviene perché un componente del gruppo allargato che ruota attorno ai killer ha un attimo di lucidità, parla in famiglia e fa scattare l’allarme. Ritrovato il corpo della vittima, subito arrivano i fermi dei due sospettati. "Giustizia per questo angelo", recita un foglio A4 sopra un mazzo di fiori, nella cancellata esterna del parco maledetto, oasi verde, panchine e spazi ricreativi sotto i palazzi gemelli di via Raffaello 5 e 7, quattro scale per 104 appartamenti da catalogo.
A 150 metri dal luogo del delitto, in via Botticelli, ci sarebbe la caserma dei carabinieri. Ma sembra un punto immaginario, dopo una giornata così in cui Pescara si riscopre fragile e affranta, con la certezza di una gioventù pronte a estrarre le lame, come già successo, anche per i più futili motivi. Stavolta però il confine è superato. E non basta la droga a spiegare la tragedia. C’è un disagio molto più profondo da portare alla luce.