Roma, 27 giugno 2024 – Adesso c’è anche la foto. Finalmente stampata. Quella dei presunti assassini di Thomas Christopher Luciani che, un’ora dopo averlo straziato attorno alle 17.20 di domenica pomeriggio, a Pescara, nel retro del parco Baden Powell, posano in spiaggia per festeggiare la missione compiuta: 18.21 lampeggia lo smartphone. Pugno chiuso e orgoglio fieramente esibito. E anche se la descrizione di questo ulteriore insulto al 16enne massacrato circola già da martedì pomeriggio, osservare l’immagine genera davvero un altro impatto emotivo. Esprime tutta la ferocia di un delitto assurdo. Un debito di spaccio da poco più di 200 euro – il prezzo di un paio di sneakers nell’estate alle porte, una sciocchezza nella viziata gioventù pescarese tutta fumo e outfit alla moda – si trasforma nella mente obnubilata dei protagonisti in ragione criminale per ripristinare il presunto "rispetto" violato. Le risultanze parziali dell’inchiesta confermano l’iperbole di 25 colpi inferti da mani distinte, sommati a insulti, minacce, derisioni, richieste folli e atti di sadismo. Persino la pretesa che la vittima non piangesse e una sigaretta spenta in faccia come ultimo sfregio.
Poi "10 euro d’erba da fumare in spiaggia", come si legge nel decreto di fermo, e il patto che l’esecuzione restasse segreta: "Tra noi cinque". I due esecutori, il testimone visivo (che invece fa partire la denuncia) e gli altri due componenti del gruppo rimasti nell’area pubblica del parco e poi andati al mare con gli altri.
Quello di Thomas (soprannominato Crox) è un omicidio tribale inflitto con modalità atroci che l’autopsia – affidata dalla procura dei minori dell’Aquila al dottor Cristian D’Ovidio ed eseguita ieri pomeriggio – ora dovrà dettagliare. L’indagine, che gli inquirenti definiscono "delicatissima", deve infatti stabilire le eventuali diverse responsabilità dei coetanei indagati – il figlio del maresciallo dei carabinieri di una stazione di provincia e il figlio di una legale docente in diritto –, ieri assegnati a distinti istituti provinciali minorili. L’ordinanza di fermo convalidata dal tribunale dei minori dell’Aquila "in ragione della gravità del fatto e delle accuse mosse agli indagati" avvalora infatti "concretamente il pericolo di fuga". Secondo il gip Roberto Ferrari, "la pervicace intenzione di prestabilirsi una verità alternativa a quanto evidenziato dagli accertamenti" indica – in concreto – "capacità di dileguarsi, anche per un periodo di tempo limitato ma tale da pregiudicare l’azione giudiziaria", considerando le possibilità degli "ambienti sociali" di provenienza. "Il quadro indiziario – denuncia il gip – fa risaltare causa determinante dell’azione l’impulso lesivo, quello di provocare sofferenza e uccidere un essere umano, sino quasi a integrare il motivo futile", cioè la ragione "meramente apparente e in realtà inesistente, che cela l’unico vero intento, di cagionare sofferenza e morte".
Marco Di Giulio, avvocato di uno dei due ragazzi indagati, si prende tutto il tempo necessario a stabilire una strategia difensiva sensata: "Gli accertamenti sono quelli di rito, tranne capire bene se il ragazzo è stato colpito da un soggetto destrorso o mancino". Secondo il legale, sapere "da dove e come sono partiti i fendenti", consentirà di organizzare meglio la difesa. La richiesta di una misura cautelare appare incongrua. "Non credo sia questo il momento", riconosce. "Aspettiamo l’esito delle indagini e la verifica di tutta l’attività investigativa per poi fare le scelte processuali. Dobbiamo capire bene chi ha fatto cosa", fermo restando che questo "non cambia molto la vicenda nella sua essenza". Ai due indagati accusati di voler "cagionare sofferenza e morte" non viene al momento contestata la premeditazione, ma solo "i futili motivi", circostanza che, se confermata in sede processuale, potrebbe portare ad applicare attenuanti e misure alternative.