Latina, 22 giugno 2024 – Aveva un sogno, Alisha detta Soni. Immaginava di poter ricevere, entro dicembre, il permesso di soggiorno, chiesto da due anni (arrivata dall’India tre anni fa con il ‘decreto flussi’, il visto era scaduto dopo un anno), e di costruire con suo marito Satnam un futuro in Italia. Un figlio, una casa, un lavoro dignitoso, una vita di preghiera e rettitudine come sanno fare gli indiani sikh. Un’aspirazione che si è infranta in quel maledetto lunedì 17 giugno, quando un macchinario ha tranciato il braccio e spezzato gli arti al giovane Satnam. Un’agonia di due giorni, poi la fine. Dall’autopsia sul corpo del marito trapela che lo stesso ha perso molto sangue, ma poteva essere salvato se i soccorsi fossero stati tempestivi.
Soni, 24 anni, è sprofondata in un baratro di dolore, incredula di fronte alla crudeltà dell’imprenditore agricolo che ha scaricato il marito in fin di vita davanti casa come uno ‘scarto’. Il Viminale cerca ora di ‘riparare’, quasi a mitigare la ferocia patita dal marito. Concede a Soni un permesso di soggiorno speciale per motivi di giustizia. La giovane vedova, accompagnata da Hardeep Kaur, segretaria provinciale della Flai Cgil, va a firmare i documenti all’ufficio passaporti del Palazzo M a Latina. Il permesso ha durata di due anni e, alla scadenza, può essere rinnovato. Permette a Soni di costituirsi parte civile al processo per la morte del marito e accedere agli eventuali risarcimenti economici.
Quel pezzo di carta forse può riannodare il legame di Soni con un territorio nel quale lei e il marito erano invisibili, sfruttati da padroni brutali e disumani che considerano i lavoratori immigrati alla stregua di schiavi. Singh e la moglie avevano trovato alloggio in via Genova a Borgo Bainsizza. Il loro locatario, Ilario, 32 anni gli voleva forse bene, certo ne ammirava l’impegno lavorativo. "Alle 6 e mezza del mattino già lo vedevo in sella alla bicicletta. Faceva sette-otto chilometri per andare a lavorare nei campi. Quando io tornavo, lui era ancora al lavoro. Talvolta mi regalava un melone, o delle zucchine: ‘Capo tieni, è un cocomero buono’, mi diceva". Noemi, moglie di Ilario, non sa darsi pace. Lei ha visto arrivare la coppia indiana e il ‘padroncino’ scaricare il ferito davanti al cancello e scappare: "Come è possibile che un uomo faccia una cosa del genere ad un altro uomo?", ripete. "Si volevano bene, volevano un figlio e stavano cercando di mettere i soldi da parte per crearsi una famiglia qui in Italia dove si trovavano bene. Navi, così tutti chiamavano Satnam, e la moglie erano persone splendide".
Nel pomeriggio arriva la sindaca di Latina, Matilde Celentano, vede Alisha per circa un’ora: "È stato un incontro che non dimenticherò mai. Ho chiesto a Soni di cosa avesse bisogno e lei ha espresso il desiderio di avere accanto a sé sua madre, che vive in India. Mi sono presa carico della richiesta".
E mentre i sindacati lanciano una raccolta fondi e proclamano uno sciopero per oggi, un testimone racconta cosa abbia fatto Antonello Lovato, il proprietario del campo, dopo aver lasciato Navi davanti al cancello di casa: "Non era affatto in preda alla paura. Anzi. E dopo aver scaricato il corpo di Navi davanti casa sua si è fatto una doccia, ha lavato il pullmino dal sangue e ha cercato due avvocati". È accusato di omicidio colposo e omissione di soccorso.