Bolzano, 24 gennaio 2025 - “Chiedo perdono”, dichiara il vescovo di Bolzano-Bressanone Ivo Muser, dopo i risultati choc dell’indagine sugli abusi del clero, 75 vittime e 41 sacerdoti accusati, numeri sconvolgenti che si riferiscono agli anni tra il 1964 e il 2023. Lo abbiamo raggiunto al telefono.
Vescovo Muser, che cosa significa chiedere perdono?
“Sono il vescovo della diocesi, mi assumo la responsabilità delle omissioni per tutto quello che è successo. Quello che è accaduto contraddice il Vangelo. Penso che dobbiamo partire da questa consapevolezza. Occorre chiedere perdono per ricevere una nuova attenzione. Tutto questo minaccia anche la credibilità della Chiesa. E su questo dobbiamo lavorare”.
Lei ha detto, mai più un caso di abuso sarà risolto con il trasferimento del sacerdote.
“Finora è andata così, gli abusatori sono stati trasferiti da una parrocchia all’altra, sempre nella speranza che potessero cambiare. Ma questo è stato l’inizio della fine. E questo non deve capitare più”.
Cosa propone?
“Un sacerdote accusato di abusi non deve essere trasferito ma curato. Perché i problemi non si risolvono da soli. Quel sacerdote deve seguire una terapia, magari non deve lavorare più nel contesto pastorale. Deve avere un altro incarico. Qualche volta non deve ricevere più incarichi. Il Papa stesso ha dimesso dallo stato clericale diversi sacerdoti. Naturalmente, questo come conseguenza estrema. Ma resta fondamentale prevenire e avere regole chiare per poterlo fare. Invece non succede. In questo senso dico che un semplice trasferimento è l’inizio della fine”.
Come si recupera la fiducia delle famiglie?
“Con la prevenzione. La Chiesa dev’essere un luogo sicuro per i nostri bambini. Ed è importante prendere sul serio quello che è avvenuto per diventare più credibili”.
Da quanto tempo è vescovo di Bolzano?
“Sono arrivato nel 2011. Ma già l’anno precedente era stato istituito il primo sportello diocesano a livello italiano per le vittime degli abusi. Da lì ci siamo messi in cammino”.
Quando ha maturato la decisione di commissionare il report?
“Nel 2023, dopo tante discussioni”.
Come ha reagito la Chiesa altoatesina a questa sua proposta?
“Ci sono state discussioni, all’inizio non tutti erano favorevoli. Ma, parlando e riparlando, alla fine abbiamo trovato una decisione comune. Per me è sempre stato fondamentale decidere con tutta la Chiesa. In Austria, in Svizzera, sono abituati a queste perizie. In tanti mi chiedevano, e voi quando vi decidete? Così abbiamo iniziato questa discussione, non facile, che ci ha portato a questa scelta. Non siamo l’ombelico del mondo ma mi auguro un cambiamento di cultura e di mentalità. Un cammino che dobbiamo fare tutti insieme”.
Ha incontrato le famiglie e le vittime?
“Sì, diverse volte. Per me questo è stato l’aiuto più importante. Quando parli con una vittima, questo ti cambia il cuore. Perché non è più un numero ma una persona”.
Cosa le hanno chiesto?
“Per loro era fondamentale poter raccontare. E tanti mi dicevano che per decenni non avevano potuto parlare di queste cose con nessuno. Neanche in famiglia, neanche in parrocchia. Questo è il vero problema. Ascoltarli, prenderli sul serio, non mandarli via. Questo è il vero cambiamento della mentalità. Guardare a questa ferita atroce dal punto di vista delle vittime”.
C’è stato un momento in cui ha pensato, non ce la faccio?
“Sì, ma poi mi sono sentito appoggiato da tanti. E penso che alla fine noi tutti vogliamo dare la nostra risposta alla chiamata del Vangelo. Che si schiera sempre dalla parte dei piccoli, dei poveri, delle vittime, degli esclusi”.