La ’notizia“’ della candidatura di Gualtieri a sindaco di Roma raggiunge Enrico Letta all’ora di pranzo, mentre è in video conferenza con la stampa estera. La sorpresa certo non depone a favore di un Pd in cui le sciabole sono state rimesse nella guaina. Al contrario è quasi uno schiaffo in faccia. Al quale il segretario non manca di reagire: una forzatura "lunare", la definisce con i suoi. Non per "l’ottimo" nome: "Roberto è un grande amico e presto lo incontrerò". Ma per il metodo "opaco, figlio delle correnti", eredità di un passato che solo domenica lui ha spiegato di voler cancellare dal partito. Nega che i giochi siano già fatti: "Nulla è deciso – mettono in chiaro al Nazareno – il segretario si è appena insediato e non ha avuto modo di aprire il dossier amministrative". Si vota in autunno, del resto.
Da dove sia partito il siluro resta oscuro. C’è chi sospetta Zingaretti, ma il nervosismo che è campeggiato per tutto il giorno in Regione Lazio sembra scagionare l’ex segretario. Come sempre in questi casi il solito sospetto è Goffredo Bettini. La dirigenza romana mette le mani avanti: "Noi siamo impegnati in un percorso che vede la partecipazione di tutti", taglia corto Bruno Astorre, segretario regionale. Con lui e con il segretario del Pd romano, Casu, Letta chiarisce in serata in video-call che "non può funzionare così. D’ora in poi le scelte vanno fatte in modo condiviso". E, d’altra parte, sottolinea in pubblico: "Io sono l’ultima chance per il Pd".
L’ex premier vorrebbe usare la piazza romana come primo banco di prova del dialogo con tutte le forze del suo centrosinistra. Mira a una candidatura condivisa da tutti, anche con Renzi cui non evita una stilettata: "Non fa parte del Pd". E magari con lo stesso M5s: visto che considera le amministrative "una tappa di avvicinamento" all’alleanza del 2023 con i grillini. Nella capitale l’obiettivo non è facilmente raggiungibile, ma c’è modo e modo. I pentastellati immaginavano tutt’altro scenario. Forti di sondaggi che li autorizzano a sperare nel successo della Raggi contro qualsiasi candidato del Pd meditavano di proporre le primarie di coalizione. Nonostante la frenata, Letta si trova in una situazione difficile: mettere in campo un altro candidato (l’ipotesi David Sassoli non è tramontata) significherebbe inaugurare il nuovo corso con una rottura. Ma il nome di Gualtieri rende difficile una soluzione condivisa e ostacola quel ritiro della candidatura Calenda che l’ex professore auspicava.
La confusione nella capitale non è un caso isolato. A Torino si fronteggiano due esponenti del Pd con idee opposte sull’alleanza con M5s: il capogruppo in Comune, Stefano Lo Russo, contrario a un’intesa strutturale con i grillini. E il vicepresidente del consiglio comunale, Enzo Lavolta, favorevole. A Bologna il candidato più forte è l’assessore alla cultura, Matteo Lepore cui si contrappone l’assessore alla sicurezza Alberto Aitini. In entrambe le città si invocano le primarie per sciogliere il nodo. A Napoli l’ipotesi di una candidatura unitaria M5s-Pd del presidente della Camera Roberto Fico s’infrange contro il "no" del governatore campano De Luca; per il Pd in ballo ci sarebbero gli ex ministri Manfredi e Amendola. Unica isola felice è Milano: il candidato non può che essere il sindaco uscente Sala. Insomma tutto indica che per Enrico Letta le amministrative saranno la prova del fuoco e non solo per quanto riguarda i rapporti con la destra (che il neo segretario sfida a tutto campo) o con gli altri partiti. Soprattutto nel Pd.