Parma, 11 aprile 2019 - Gli ingredienti ci sono tutti. I cavilli burocratici, il rimpallo di responsabilità tra enti diversi e, dulcis in fundo, i sigilli al cantiere. Risultato: opera bloccata con il costo, parecchio salato, che rischia di scaricarsi sui contribuenti. Il caso del centro commerciale che dovrebbe sorgere vicino all’aeroporto Giuseppe Verdi di Parma è una delle tante mini Tav italiane: ci sono i progetti, i capitali, gli stranieri pronti a metterci i soldi ma i cantieri sono bloccati.
Tutta colpa di un regolamento Enac di fine 2011 (28 ottobre), che ha ridefinito le distanze di sicurezza dagli aeroporti. È entrato in vigore dopo la firma della Convenzione urbanistica, siglata nel giugno dello stesso anno, tra il costruttore (il Gruppo Pizzarotti) e il Comune di Parma ora guidato dall’ex grillino Federico Pizzarotti. Tra il 2017 e il 2018 sono arrivati anche i permessi per costruire. Dunque, via ai cantieri, costruite le opere infrastrutturali previste dall’accordo pubblico/privato per ottenere il via libera al centro commerciale e bonificata l’area interessata per una cifra di circa 25 milioni. Non solo: nel 2018, salgono a bordo gli anglo-portoghesi dell’immobiliare Sonae Sierra. Ne nasce così una joint venture paritaria, Pud, che sta per Parma Urban District. Tutto fantastico, pubblico e privato insieme per valorizzare una vecchia area industriale: circa 300mila metri quadri con una superficie commerciale utile di 74 mila. E invece no. Una mattina scatta il blitz delle Fiamme Gialle con tanto di elicotteri. Fermi tutti, questo cantiere non s’ha da fare.
Cosa è successo? Per capirlo bisogna riavvolgere il nastro di qualche anno. Siamo al 5 ottobre 2011: il Comune di Parma trasmette all’autorità competente, cioè l’Enac, il Piano di rischio aeroportuale per l’edificazione dell’area. Il 27 ottobre arriva l’ok: un parere favorevole subordinato alla necessità di aggiornare il piano in virtù del famoso regolamento. Nonostante ciò – si legge nell’ordinanza con la quale il tribunale di Parma rigetta l’istanza di dissequestro del cantiere chiesta dall’azienda Pizzarotti – il Comune «resta inerte per circa sei anni», passati i quali, non solo non adotta il nuovo Piano di rischio, ma rilascia due permessi per costruire (5 ottobre 2017 e 18 gennaio 2018). Nel frattempo però l’amministrazione valuta il progetto di estendere la pista di volo ed è allora che, magicamente, riprendono i contatti con Enac il quale, a fine 2017, risollecita l’aggiornamento del Piano di rischio.
La replica: il piano trasmesso tiene già conto della costruzione del centro commerciale. Non la pensa così Enac che torna più volte a esprimere la propria contrarietà. Da qui «l’illegittimità», secondo la Procura, dei permessi a costruire e l’apertura dell’indagine che ha coinvolto alcuni esponenti del Comune per abuso d’ufficio. Nel mezzo ci sono carteggi, conferenze dei servizi, permessi sulle altezze rilasciate da Enac-Malpensa che però non è competente per il Piano di rischio, sul quale deve invece esprimersi Enac-Roma. Insomma, un vero rompicapo.
E poi ci sono i paradossi, quelli che annientano qualsiasi forma di buonsenso. Il famigerato regolamento Enac fu annullato dal Tar nel 2015 e poi resuscitato nel 2016 dal Consiglio di Stato: nel frattempo scali come Orio al Serio hanno ampliato i centri commerciali con affaccio sulla pista. Aeroporti che hanno ben altro traffico rispetto a quello parmense: circa 5mila movimentazioni l’anno contro le quasi 50mila, ad esempio, di Torino. Non proprio la stessa probabilità di rischio.
E che dire della Fiera di Parma? Anch’essa in parte all’interno delle nuove fasce di tutela. Poi, ci sono i numeri. Che parlano di 1.500 posti di lavoro potenziali in fumo e di investitori stranieri scoraggiati dal sistema Italia. Tassello di un puzzle preoccupante: in Italia ci sono 600 opere bloccate, valgono 36 miliardi e occuperebbero 350mila persone.
La Pizzarotti e i suoi soci, però, hanno perso la pazienza. E i 40 negozi con i quali sono stati siglati accordi commerciali vogliono vedere il Pud aperto entro novembre 2020. È partita una lettera al Comune: se entro fine maggio non sanate il quadro urbanistico sbloccando i lavori, chiediamo i danni. Circa 120 milioni di euro, di cui 80 di spese vive e 40 di mancati utili. Una bella mazzata per i contribuenti parmensi. Sarebbe dovuto essere uno dei dieci maggiori centri commerciali d’Italia, rischia di diventare l’ennesima mini Tav.