Roma, 17 maggio 2020 - Domani sono i 100 anni dalla nascita di Karol Wojtyla: l’anniversario verrà celebrato alle 7 di mattina con la Messa, celebrata davanti all’altare della tomba da Papa Francesco, in mondovisione.
Senza dubbio è il Papa più politico che ci sia stato tra gli ultimi Pontefici. Nessuno più di Giovanni Paolo II ha legato il suo nome a una battaglia non solo religiosa ma anche ideologica contro le dittature nell’Europa dell’Est da cui pure lui, polacco, proveniva. Presidente Pier Ferdinando Casini, è difficile sfuggire alla sensazione di trovarsi di fronte all’ultimo grande Papa guerriero, quasi un condottiero che ha sconfitto il comunismo. Condivide questa lettura? "Non il comunismo, ma il totalitarismo. Qualcosa di più. Papa Giovanni Paolo II ha sempre combattuto la connivenza con le dittature. Con coloro che negano agli uomini il valore della dignità e della libertà". Quello di Wojtyla era un europeismo che non dimenticava le radici cristiane. "Sì, assolutamente. Una delle grande questioni che Giovanni Paolo II ha sollevato è stato il tema dell’identità cristiana dell’Europa. Un’Europa che diventa necessariamente multiculturale e multireligiosa, senza disperdere però la sua identità. È vero che Wojtyla ha aperto la via al dialogo interreligioso, ma nella consapevolezza che avendo un’identità cattolica forte si può parlare con tutti". Oggi viene arruolato nella galassia sovranista. "Figuriamoci. Non è mai stato nazionalista. È stato piuttosto uno dei grandi costruttori dell’Europa, nella grande tradizione degasperiana. Semmai è stato un sovranista europeo". Il 14 novembre 2002 lei lo accolse nella sua veste di Presidente a Montecitorio: una visita unica nella storia. Quale fu la sua lezione politica? "Quella visita simboleggiò il suo amore per l’Italia e gli italiani. Ci richiamò all’attenzione verso gli ultimi. Ci fece pensare ai carcerati, a coloro che soffrivano, dimenticati spesso anche dalla politica". Eppure, già stava male. "Infatti. Io andai da lui e lo invitai in Parlamento. Ma qualche giorno prima dell’evento vidi in tivù che faceva fatica a parlare. Chiamai il segretario, Stanislaw Dziwisz, e gli dissi: “Ma come fa il Papa a venire? C’è parecchio da camminare dall’ingresso fino all’aula“. Le sue parole furono: “La provvidenza ci penserà. Il Papa è tranquillo. Non si preoccupi“. E in effetti, avvenne il miracolo. Tutti pendevamo dalle sue labbra". Ma il Parlamento non ascoltò la richiesta di un provvedimento di clemenza per i detenuti. "Non trovammo l’accordo. Però l’anno dopo, nel 2003, il Parlamento varò il cosiddetto “indultino“". Quali sono stati i tratti salienti di Wojtyla? "È stato un uomo capace di parlare al mondo abbattendo tutti i confini politici, ideologici e religiosi. Ha saputo rendere la Chiesa protagonista, mantenendo un’umanità senza frontiere. In grado, come nessun altro, di comunicare con i giovani". Su temi come la famiglia e la vita Giovanni Paolo II era il rigorista che viene dipinto? "Credeva nei valori non negoziabili tanto da farne una pietra angolare del suo Pontificato. Ma è stato pure il Papa che ha emanato le direttive per spingere le parrocchie ad aprire al dialogo con divorziati e risposati prendendo atto della realtà. Non voleva escludere nessuno". Anche Papa Francesco è un Pontefice “politico“. C’è continuità tra i due papati? "Sono due personalità molto diverse perché diversa è la loro formazione. Però se penso al discorso di Wojtyla in Parlamento, al suo appello per i detenuti, al tema del dialogo interreligioso, all’attenzione verso i deboli e gli immigrati credo che una continuità ci sia".