Roma, 28 maggio 2024 – Colloquiale, diretto, senza filtri. Al punto da rinunciare (non di rado) alla lettura di omelie scritte per affidarsi a una comunicazione a braccio e al punto da trovarsi più a suo agio con le interviste che con le encicliche, di per sé meditate e felpate. In questi undici anni di pontificato Francesco ci ha abituati a un linguaggio assai popolare che ha fatto la sua fortuna, ma che lo ha anche esposto a una serie di gaffe quasi fosse un presidente del Consiglio di uno Stato qualsiasi e non il vicario di Cristo, per dirla con il titolo altisonante (mai superato) introdotto da Innocenzo III nel XIII secolo.
Era il 2015, l’Occidente viveva lo sgomento per la strage alla rivista satirica d’Oltralpe Charlie Hebdo. ’Je suis Charlie’ si ripeteva a destra e a manca, mentre il Papa, pur esprimendo con fermezza il proprio orrore per l’attentato, ci tenne a sottolineare che non si offende mai la religione altrui. E, per veicolare meglio il concetto, si spinse a dire: “Se uno offende mia madre, gli do un pugno”. Non proprio l’uscita di un uomo di pace, almeno a una lettura approssimativa, tanto che la sua esternazione tenne banco per giorni.
Altro contesto, stavolta quello delle suore, incline alla preghiera e al servizio. Tre anni fa, incontrando le religiose della Curia generalizia delle Figlie di Maria Ausiliatrice, il Papa le ha voluto mettere in guardia dalla “mondanità spirituale“, invitandole a una castità “feconda“, perché “siete madri e non zitellone”. Anche qui l’espressione, dai connotati sessisti, non passò inosservata: già in altre occasioni, di fronte a delle suore, Bergoglio era andato a ’briglie sciolte’. Recidivo.
Lasciò il segno anche il passaggio – estrapolato da una sua intervista rilasciata durante il viaggio di ritorno dalle Filippine nel 2015 – sull’essere cattolici che “non significa fare figli come conigli”. In quel caso a rimanerci di sasso furono i coniugi di famiglie numerose, fino ad allora portate a modello dalla Chiesa. E che allora si sentirono bacchettate.
Gaffe su gaffe, eppure non così dirompenti come quella – pronunciata in un incontro a porte chiuse coi vescovi italiani – sulla “frociaggine” nei seminari che sta facendo discutere in queste ore a livello planetario. Qui non si tratta di un mero linguaggio colorito, ma di un’offesa triviale e per giunta inattesa sulla bocca di un Papa come Francesco. Non è lo stesso “del chi sono io per giudicare un gay che cerca Dio”? Non è lui ad aver ammesso la benedizione (non liturgica) delle coppie dello stesso sesso? Domande che adesso si affastellano nelle menti confuse dei suoi estimatori. Bergoglio ha origini piemontesi, certo, ma è argentino e per questo non conosce il tenore (bonario o ingiurioso) di tutti i modi di dire italiani. In più ha una certa età. Su tutto ciò hanno avuto gioco facile quegli uomini di Chiesa che si oppongono alle sue riforme e ci mettono un attimo a tradirlo.