Giovedì 26 Dicembre 2024
STEFANO PILLITTERI
Cronaca

Paolo Pillitteri, il figlio Stefano: “Non chiamatelo sindaco della Milano da bere, era uomo di cultura”

Il ricordo scritto per Il Giorno in memoria dell’ex sindaco scomparso oggi 5 dicembre: “Mio padre fu sepolto da un processo iniquo, gli venne la depressione. Fu disumano impedirgli di andare al funerale di Craxi”

Paolo Pillitteri e, a destra, il figlio Stefano

Paolo Pillitteri e, a destra, il figlio Stefano

Di seguito, riportiamo uno ricordo inviato al Giorno da Stefano Pillitteri in memoria del padre Paolo, sindaco di Milano dal 1986 al 1992, scomparso oggi 5 dicembre 2024.


Paolo Pillitteri è conosciuto soprattutto per essere stato il Sindaco della “Milano da bere”. Un luogo comune che, a distanza di oltre un trentennio, ha perso l’accezione demonizzante che lo accompagnò per tutti gli anni novanta. Non più la città cinica e superficiale dei “rampanti”. Ma una città al massimo del suo fervore creativo, innovativo e libertario. Una Milano che si guadagnava la copertina di Time. E che si giovava, oltre che delle sue innate risorse proprie, di una qualità amministrativa che, oggi lo si può dire, era di assoluta eccellenza. Ma Paolo Pillitteri non è stato soltanto quello. E non è nemmeno stato solo una delle punte di diamante della squadra di amministratori e politici forgiatasi negli anni 60/70 sotto la guida di Bettino Craxi, quella che aveva espresso anche il suo predecessore Carlo Tognoli

Chi lo ha conosciuto bene (ed io per primo) sa che Pillitteri è stato, in primo luogo, un uomo di cultura. In un certo senso un intellettuale prestato alla politica che, pure, ha interpretato con una dedizione e una disciplina che, oggi, sono davvero merce rara. Anche nell’ultimo periodo, funestato da condizioni di salute assai precarie, non ha mai smesso di essere un appassionato lettore di storia, filosofia e cinema. E non ha mai smesso di immaginare progetti letterari e cinematografici. Dopo aver dedicato un libro a suo padre, comandante partigiano in valtellina, e agli anni giovanili di Craxi, il suo sogno, di cui mi parlava spesso, era quello di realizzare un libro (ma lui pensava anche a un film!) sulla figura di mia nonna, la madre di Bettino, che ebbe vita assai avventurosa negli anni tumultuosi della guerra. Ma ha scritto anche di cinema (tra cui un libro a due mani con Fellini, suo grande amico) oltre che di politica e sociologia.

La sua è stata vita molto densa. Nella prima parte caratterizzata da rapporti con personaggi straordinari dell’arte e dello spettacolo. Walter Chiari era di casa. E gli era particolarmente affezionato perché, dopo gli anni di oblio seguiti alle sue vicende giudiziarie, da assessore alla cultura lo aveva voluto come protagonista di una kermesse organizzata dal Comune di Milano. La prima uscita dopo cinque anni di isolamento totale. Già, perché Pillitteri fu anche uomo assai generoso e con forte senso della solidarietà. Ma fu amico un po' di tutti gli artisti di quella irripetibile stagione culturale che furono gli anni 70. Nel 1971 fece scandalo la prima importante installazione di Christo in Italia. Ad essere impacchettato fu il monumento equestre a Vittorio Emanuele II. Il risultato aveva parvenze vagamente falliche. E, insomma, proprio davanti al Duomo. L’appena trentenne assessore, promotore dell’iniziativa, dovette subire le reprimende dell’allora cardinale Colombo. Ma riuscì, anche in quel caso, a cavarsela grazie a una rara e contagiosa carica empatica. E quella iniziativa lanciò a livello mondiale il movimento del Nouveau Realisme, uno dei più interessanti del secolo scorso.

Anche i “bagni misteriosi” di de Chirico (oggi restituiti all’originario splendore cromatico) furono idea sua. E, personalmente, ricordo di quando si andava a trovare in studio il grande scultore Cascella. Tanto questa prima parte fu provvida e baciata dal successo (dopo il lungo periodo da assessore diventa consigliere regionale a 39 anni, parlamentare a 42, Sindaco a 46) quanto ne fu dolorosa e traumatica la cesura.

Di fatto l’avviso di garanzia ricevuto il 1° maggio 92 con Carlo Tognoli segna la fine della sua carriera. Ma anche l’inizio della fine della cosiddetta prima repubblica. Ne seguono anni dolorosi. E con essi l’inevitabile depressione. Viene sepolto sotto la mole di ben otto processi. Verrà condannato solo in uno, il primo. Ma era ancora l’epoca in cui si veniva condannati in base alla semplice acquisizione dei verbali degli interrogatori resi (spesso in carcere) dai “chiamanti in correità”. Una stortura, introdotta con l’emergenza delle stragi mafiose, degna di uno stato di polizia. Ma che verrà sanata solo nel 1997. Di fatto fu un processo iniquo. In cui era pressochè impossibile difendersi. Un calvario che si concluderà solo nel 2001. In mezzo ci stanno due infarti e un affidamento in prova ai servizi sociali. Che svolse presso Exodus di Don Mazzi. Quella stessa realtà che, da Sindaco, aveva fortemente voluto e supportato.

Ed è proprio mentre si trova in affidamento che gli viene negato, dalla Procura di Milano retta da Borrelli (con cui, peraltro, aveva coltivato rapporti di forte cordialità nei “tempi belli”), di partecipare ai funerali di Craxi a Tunisi. Un’ingiustizia piuttosto disumana e che patì assai. Solo nel 2010 visiterà, finalmente, la tomba di Bettino al cimitero cristiano di Hammamet, in occasione del decennale. Un rapporto, quello con l’ex leader socialista, molto profondo. E che prescindeva l’averne sposato la sorella. Circostanza che, peraltro, lo danneggiò più che avvantaggiarlo. Negli anni 80 aveva già alle spalle una robusta carriera di amministratore di successo. In buona parte condotta in un diverso partito, il PSDI. Però, nella polemica di allora, aveva gioco facile chi lo additava a “Sindaco cognato” evocando un cursus honorum nel segno di un inesistente nepotismo. Con Craxi condivideva una cultura politica, quella del socialismo riformista di Filippo Turati. E lo considerava un fuoriclasse assoluto. Ma, soprattutto, gli voleva veramente bene, come si può volerne a un fratello maggiore. E soffrì molto il non averlo mai più potuto rivedere di persona dopo l’esilio del 1994.

Non ha più voluto fare politica attiva. E avrebbe potuto tranquillamente “riciclarsi” come, giustamente, fecero tanti altri dopo essere stati colpiti dagli strali della giustizia politica anni 90. Ma era refrattario a chiedere. E, forse, non si riconosceva più in una politica che era molto cambiata dai tempi delle passioni e degli ideali civili in cui si era formato. Si dedicò all’altra sua grande passione: scrivere. E, comunque, la partecipazione ad eventi pubblici cui veniva spesso, soprattutto, il calore degli amici e la stima di chi lo conosceva appena seppero riempirgli anche l’ultima stagione della vita.

Credo verrà ricordato come un ottimo sindaco dai milanesi che lo conobbero tale. Di certo verrà ricordato come una grande persona da quanti gli vollero bene. E sono tanti. Per rendere una vita terrena degna di essere stata vissuta basta e avanza.