Roma, 13 agosto 2018 - Da ‘non indurci in tentazione’ a ‘non abbandonarci alla tentazione’. Un cambiamento minimo sotto il profilo lessicale, notevole in una prospettiva teologica. La traduzione italiana del ‘Padre nostro’, che la Chiesa recita ogni domenica durante la messa, sta per essere cambiata. Francia e Spagna lo hanno già fatto. Fonti interne alla Conferenza episcopale italiana, dal 1988 al lavoro per definire la migliore interpretazione possibile dell'unica preghiera insegnata da Gesù ai suoi discepoli, assicurano che a novembre dovrebbe giungere il via libera della Santa Sede alla nuova formulazione proposta dai vescovi. Questa, dopo le opportune revisioni vaticane, prima è stata recepita nel 2008 nell’edizione della Bibbia curata dalla Cei, poi nel Lezionario, la raccolta delle letture proclamate durante la celebrazione eucaristica. Dunque manca solo l’adeguamento del messale, il libro bussola per il prete che presiede la messa, con i gesti da compiere e le parole da pronunciare.
“L’idea fondamentale è che Dio non può indurci in tentazione – spiega l’arcivescovo di Chieti, Bruno Forte, uno dei teologi più apprezzati in seno all’episcopato italiano –. L’espressione va intesa nel modo corretto, richiamato anche dal Papa, cioè nel senso di ‘trattienici dal fare il male’, perché Dio non abbandona mai i propri figli, ma li sostiene sempre con il suo amore infinito”. Come ricordato lo scorso anno dall’ex sottosegretario della Conferenza episcopale italiana, Giuseppe Betori, il cambio di traduzione di cui si attende l’approbatio della Santa Sede trovò concordi i cardinali Carlo Maria Martini e Giacomo Biffi, entrambi componenti della commissione ristretta del Consiglio permamente della Cei incaricata di studiare la questione. Spesso in disaccordo sul piano pastorale, l’uno punto di riferimento della Chiesa progressista, l’altro portabandiera dei conservatori, i due prelati trovarono la quadra sul ‘Padre nostro’. Un mezzo miracolo.