FONTENO (Bergamo)Ottavia Piana, la speleologa bresciana che sabato scorso si è ferita in una parte inesplorata dell’Abisso Bueno di Fonteno, è sempre più provata. Ma nella serata di ieri si è affacciata la speranza di rivederla fuori dalla grotta in tempi rapidi. "Forse 3 o 4 ore", calcolavano i soccorritori, con la cautela d’obbligo in casi del genere e viste le condizioni della ferita. L’ultimo tratto è stato infatti liberato prima del previsto e i sanitari sconsigliavano ulteriori soste intermedie.
La situazione è sempre stata delicata. L’assistenza di medici, infermieri e tecnici, che non hanno mai lasciato sola Ottavia e che hanno tenuto costantemente monitorate le sue condizioni, l’hanno aiutata, così come la sua esperienza, che le ha consentito di non lasciarsi andare alla disperazione. Le lesioni riportate, che potrebbero essere più gravi di quanto stimato nelle prime ore, però l’hanno sottoposta a una grande fatica, dovuta anche alle condizioni climatiche dell’antro, dove l’umidità è del 100% e la temperatura è di circa 5 gradi. Anche stare sdraiata sulla speciale barella che i suoi salvatori stanno usando non è facile.
"Sono stato in grotta per 18 ore – spiega il soccorritore speleologo Luca Longo –, è infortunata ma lucida e vigile. La grotta è casa sua. Sa esattamente dove si trova e segue le operazioni con fiducia. Chiaramente le sue condizioni sono quelle di chi è ferito in grotta, sono alcuni giorni che è su una barella: accusa molta fatica. Speriamo di tirarla fuori prima possibile anche se non è possibile dare dei tempi certi". La barella nella giornata di ieri ha percorso alcune centinaia di metri lungo cunicoli talvolta instabili, che fanno cedere materiale quando si transita. I passaggi sono stretti, nonostante questo in serata si è voluto dare un’accelerata all’intervento: per percorrere lo stesso tratto un anno fa furono necessarie 12 ore. L’abisso Bueno è una cavità carsica attiva e all’interno ci sono almeno un ruscello, pozze, acqua e fango. Il vento soffia costantemente. Per tenere al caldo Ottavia i soccorritori l’hanno messa nel cosiddetto ’tutone’: un indumento termico che la ripara da freddo e intemperie all’interno del quale c’è un sistema di riscaldamento che si chiama ’piovra’, fatto con tubi che le avvolgono il corpo in cui passa aria riscaldata, da una cella a carbone e da un ventilatore. La barella, studiata per gli interventi in grotta, piatta e in fibra di carbonio, è impermeabile e ha fondo ergonomico. Può essere trasportata con una carrucola. Alcuni tratti sono stati allargati con mazze e picconi, altri con micro cariche esplosive.
A consentire di tenere contatti diretti con l’esterno un cavo telefonico analogico di oltre tre chilometri. È in questo modo che la situazione e le condizioni di Ottavia sono stati sempre resi noti a tutto lo staff, in grado di contattare ospedali e centri specializzati per ogni evenienza. All’interno della grotta è stato possibile sottoporre Ottavia ad alcuni esami, come delle ecografie e l’elettrocardiogramma, ma ovviamente ci sono dei limiti ai controlli che possono essere effettuati in condizioni simili.
Intanto la task-force impegnata nei soccorsi si arricchisce di elementi con una lunga esperienza alle spalle. Alcuni fra loro hanno operato in casi eclatanti, come Tullio Bernabei, che nel 1981. quando aveva 22 anni, fu il primo degli uomini impegnati nel tentativo, purtroppo infruttuoso, di salvare Alfredino Rampi a Vermicino. O Corrado Camerini, medico bresciano che nel 2012 diresse le ricerche subacquee nella nave Concordia all’isola del Giglio, dove fu necessario impiegare diversi speleo sub.