Roma, 5 giugno 2023 – "Dopo un periodo caratterizzato, a partire dal 2011, da un taglio della spesa sanitaria, con il Covid abbiamo avuto un’iniezione di risorse senza precedenti: dai 115 miliardi di spesa del 2019 ai 131 miliardi del 2022. Ma se le risorse ci sono, le limitazioni organizzative e gli squilibri che questo sistema sanitario si portava dietro da anni purtroppo sono rimasti". A scattare la fotografia del nostro Sistema sanitario nazionale è Americo Cicchetti, direttore dell’Alta Scuola di Economia e Management dei Sistemi Sanitari (Altems).
Quali sono le principali criticità?
"In primo luogo lo squilibrio tra gli investimenti fatti negli ospedali e quelli nel territorio. La riforma del DM 77 (il nuovo regolamento sugli standard dell’assistenza territoriale ndr) va in una direzione di riequilibrio ma bisognerà attendere per vederne gli effetti".
Ritiene vi sia una carenza di medici?
"Nel 2021 il numero dei dipendenti del Ssn è tornato sui livelli del 2012, passando dai 647mila del 2017 a 670mila. Abbiamo 4 medici ogni mille abitanti, la Francia ne ha 3 ogni mille, il 25% in meno. Non ci mancano le persone ma mancano professionisti, innanzitutto infermieri, in alcune funzioni. Il problema principale è che i medici non vogliono lavorare nel Ssn, preferiscono dimettersi e andare a lavorare con le cooperative ‘a gettone’".
Perché il Ssn è così poco attrattivo?
"La prima ragione è che i medici sono pagati poco. Oggi un responsabile di Uoc guadagna circa 3mila euro. Lo stesso medico con la sua attività libero-professionale, che spesso fa in intramoenia, raddoppia o triplica quello stipendio. Cifre che il Ssn non può permettersi di pagare. Il punto è, dunque, ragionare su come paghiamo i medici definendo in che misura lo stipendio del medico deve essere legato al Ssn e quanto ad altri comparti. Per trattenere i medici serve, inoltre, una buona gestione delle persone".
Eppure ci sono tanti medici specializzati che rimangono per anni nel limbo delle sostituzioni.
"Il problema è che nel decennio passato non è stata fatta la migliore programmazione possibile dal punto di vista della distribuzione dei posti di specializzazione. Le logiche di programmazione sul personale sanitario sono frutto di una lunga negoziazione tra il Ssn e le università che, evidentemente, non è stata in grado di catturare le esigenze del futuro. L’Agenas ha avuto mandato dal ministero di studiare un nuovo modello di programmazione che attualmente è in fase di sperimentazione".
Come si arresta la fuga dei medici dai pronto soccorso?
"Allentando la pressione determinata dalla domanda crescente. È necessario creare un filtro sul territorio. Abbiamo bisogno di strutture alternative all’ospedale dove c’è una disponibilità continua di personale che possa rispondere alle esigenze classificate con i codici verdi o bianchi che rappresentano la maggior parte degli accessi in pronto soccorso".
Servono più medici di base?
"I medici di famiglia come li concepiamo oggi non rappresentano un’alternativa efficace. Manca l’assistenza primaria che deve essere fondata su dei centri o su medici di famiglia che, però, realmente lavorino insieme. Il modello sono le Uccp venete, la Casa della salute in Emilia Romagna e Toscana, o l’idea delle Case della Comunità indicate nel DM 77".
È d’accordo con l’idea del governo di aumentare i posti alla facoltà di medicina?
"Per me la cosa migliore sarebbe togliere il numero chiuso al primo anno e, sul modello francese, creare delle soglie di sbarramento al secondo. Chi non viene ammesso in molti casi decide di rimanere sempre nell’ambito sanitario scegliendo un’altra professione".