di Aldo Baquis
TEL AVIV
I resti di sei ostaggi israeliani sono stati recuperati da unità di élite dell’esercito nel corso di un’operazione complessa, svoltasi per ore sotto al fuoco di Hamas in parallelo sia all’interno di edifici di Khan Yunis (nel sud della Striscia) sia in un dedalo di tunnel e di cunicoli scavati a 10 metri di profondità.
Con la restituzione dei corpi alle famiglie (tutte residenti in due kibbutzim di frontiera attaccati il 7 ottobre da Hamas) il premier Benjamin Netanyahu ha pubblicato un messaggio di lode ai militari e ha assicurato che continuerà ad adoperarsi per la liberazione di tutti gli altri ostaggi, vivi o morti. Al momento ne restano ancora 109. Proprio in questi giorni il segretario di Stato Antony Blinken sta compiendo una spola fra Israele, Egitto e Qatar per suggellare un accordo. Ma in Israele le parole di Netanyahu hanno innescato aspre polemiche: in particolare fra i familiari dei sei ostaggi che hanno ricordato che i loro congiunti erano ancora vivi fino a pochi mesi fa. Netanyahu – hanno accusato – avrebbe potuto ancora salvarli se allora avesse accettato proposte che erano sul tavolo per un cessate il fuoco e per lo scambio di prigionieri.
In particolare è stata messa sotto accusa la tesi – sostenuta con foga dal premier – che per recuperare gli ostaggi occorre accrescere di continuo la pressione militare su Hamas. Secondo la versione fornita dall’esercito, i resti di cinque degli ostaggi sono stati trovati in un cunicolo e in apparenza erano morti di asfissia. Vicino a loro c’erano anche i resti dei loro guardiani di Hamas, anch’essi morti di asfissia. Nel marzo scorso, nelle immediate vicinanze, una unità dei paracadutisti aveva chiesto un intervento di appoggio della aviazione. È possibile abbiano inalato gas venefici, o siano rimasti senza ossigeno per il crollo di una struttura.
Il portavoce militare Daniel Hagari ha assicurato che l’esercito sta facendo il possibile per recuperare tutti gli ostaggi. Ma ha anche ammesso, senza peli sulla lingua: "È evidente che non potremo recuperarli tutti solo mediante operazioni di salvataggio". Dunque, ha lasciato intendere, occorre che la leadership politica assecondi la ‘proposta ponte’ sottoposta nei giorni scorsi dai mediatori statunitensi per una tregua a Gaza ed uno scambio di prigionieri. Lunedì a Blinken Netanyahu ha detto di sostenerla. Ma ieri, in un incontro con alcune famiglie di ostaggi (che sostengono la sua linea politica) ha ribadito che comunque non intende rinunciare a due punti di forza strategici ottenuti sul terreno a Gaza: l’Asse Filadelfia (il confine fra Egitto e Gaza) e il Corridoio Netzarim, che taglia la Striscia in due. Da un lato ha assicurato che una delegazione ad alto livello si recherà giovedì e venerdì al Cairo per un nuovo vertice. Ma ancora una volta è apparso limitare il suo margine di manovra. Hamas, da parte sua, resta ancorato a posizioni espresse all’inizio di luglio: esige la cessazione di tutte le ostilità ed il ritiro di tutte e forze da Gaza.
Intanto resta in bilico il quadro regionale mentre Hezbollah ed Iran attendono il momento opportuno per condurre ritorsioni contro Israele in seguito alle eliminazioni, avvenute a fine luglio, di un leader sciita a Beirut e del leader di Hamas Ismail Haniyeh a Teheran.