Mercoledì 4 Settembre 2024
BARBARA CALDEROLA
Cronaca

Clima, portavoce Fridays for future: "Ora stop al leader unico. La lotta sarà collettiva"

Martina Comparelli: si torna al modello iniziale in cui prevale la voce del movimento

Il dopo Greta per Martina Comparelli, 29 anni, una laurea in Scienze Politiche a Pavia con 110 e lode, un master alla London School of Economics, portavoce del Fridays for future, è collettivo.

Martina Comparelli, una delle portavoci di Fridays for future
Martina Comparelli, una delle portavoci di Fridays for future

Chi raccoglierà il testimone?

"Non più una sola persona, ma tutti gli attivisti dei Paesi più colpiti dalla crisi climatica: Africa, Sud America, Asia. Ce ne sono tanti pronti. Era questo il progetto iniziale e Greta si è sacrificata quando per richiamare l’attenzione sulla causa il mondo si è concentrato solo su di lei. Questo succede in una società come la nostra che ha sempre bisogno di protagonisti. Ma è un modello che non ci appartiene e adesso con il suo passo indietro torniamo alle origini. Lei ha sempre e solo voluto la voce del movimento".

Su quali temi prosegue la battaglia?

"Combustibili fossili e mitigazione. Non si parla più di transizione ecologica, ma sempre e solo di gas. Dobbiamo riposizionarci rispetto ai cambiamenti innescati dalla crisi internazionale. E poi c’è la giustizia climatica".

Cioè?

"Dobbiamo costruire condizioni di benessere nei Paesi più a rischio, un’operazione che si lega alla finanza climatica e al Fondo perdite e danni: dovrebbe essere di 100 miliardi l’anno e invece è fermo a 80. La differenza è enorme. E passa soprattutto dal concetto che i soldi non devono essere prestati, ma a fondo perduto. Altrimenti continueremo ad avere l’atteggiamento coloniale che ci ha portato a questo punto".

Parla dell’Europa e dell’America?

"Esattamente. È questione di responsabilità storica: il 92% dell’inquinamento attuale è frutto dei modelli produttivi dell’Occidente, India e Cina stanno inquinando adesso, ma non hanno creato questa situazione. Noi parliamo di responsabilità, colpe e risarcimenti".

Come si cambia?

"Certo non con la Cop, l’anno scorso per la prima volta nel documento finale i Paesi della conferenza hanno scritto le parole combustibili fossili. Appuntamenti come questo ci sono da prima che io nascessi e non hanno mai portato a nulla. Ascoltiamo per fare il punto, ma il vento nuovo viene dal basso, dalle realtà locali. Stiamo facendo accordi con gli studenti, con il sindacato di base e con l’agricoltura. Servono alleanze per riprendere in mano la situazione. Le comunità energetiche sono un esempio virtuoso e noi puntiamo sull’autoproduzione e l’uso secondo bisogno, ma siamo convinti che serva anche la cogestione delle fonti: vogliamo partecipare. Sono gli elementi del modello italiano".

Lo esporterete?

"Sì, anche se dove non ci sono regimi democratici sarà molto più difficile".

La parola d’ordine?

"’People not profit’. La crisi climatica nasce dall’interesse di pochi sulla pelle di molti, l’1 per cento dei Paesi ricchi produce il 50% dell’inquinamento globale. Chi soccombe sono i Paesi più poveri e vulnerabili, che noi abbiano già depredato delle loro risorse. Transizione ecologica equa vuol dire restituire all’Asia, all’Africa, al Sudamerica ciò che è stato loro rubato. Altrimenti si salveranno soltanto i ricchi".