Torino, 3 settembre 2023 – Corpi dilaniati come se fosse scoppiata una bomba. Poveri resti da identificare attraverso procedure delicate e di sicuro non brevi. Chi era chi. La pietosa attribuzione del nome, come in un secondo battesimo. Considerata la velocità e il peso del treno, adesso sotto sequestro, non è difficile immaginare le condizioni dei cinque operai travolti sui binari a Brandizzo mercoledì notte. Per questo parlare di funerali è prematuro e l’inchiesta della procura di Ivrea è costretta a rallentare.
Sono agghiaccianti e inequivocabili le parole della procuratrice capo Gabriella Viglione: "Abbiamo chiesto alle famiglie dettagli utili che possano aiutare all’identificazione ma, secondo la relazione del medico legale, ci saranno comunque diverse parti che non potremo riconoscere". Non sono un puzzle ma persone, gridava indignata la mattina dopo l’incidente la parente di una vittima. E intorno alla stazione, chi suo malgrado aveva visto, parlava intanto di braccia e gambe rimbalzate sulle auto di un vicino parcheggio, dei capelli sul muso del locomotore.
Una bomba. E il puzzle, detto con il massimo rispetto, va completato per forza. "Non sarà una cosa breve – conferma la procuratrice –. Le attività sono già iniziate ma si tratta di un lavoro tecnico estremamente delicato per identificare i resti in maniera ragionevole".
Al momento la procura conferma le gravi violazioni della procedura di sicurezza e due indagati per omicidio plurimo e disastro ferroviario con dolo eventuale, come accadde per la tragedia della Thyssen prima che una sentenza della Cassazione lo escludesse. Ciò significa che Antonio Massa, addetto Rfi al cantiere, il cosiddetto "scorta-ditta", e Andrea Girardin Gibin, il capocantiere della Sigifer che aveva in appalto i lavori di manutenzione sui binari, avrebbero agito con la consapevolezza di poter causare la morte dei loro colleghi.
Saranno interrogati a Ivrea nei prossimi giorni, anche se "parzialmente una loro versione l’hanno già data, consolidata da una serie di dati documentali, fotografici, video e telefonate di cui siamo già in possesso". "Bisogna capire se procedere con i lavori senza avere il permesso è una sciagurata scelta delle persone coinvolte o, al contrario, se in questo comportamento possano esserci delle abitudini, delle consuetudini e delle richieste", ha detto la procuratrice.
Sono due uomini illesi ma distrutti. Il caposquadra era anche lui sui binari con i cinque colleghi morti e si è salvato per un soffio: ha sentito una folata, intravisto i fari del treno ed è riuscito a buttarsi di lato. Antonio Massa si trovava vicino alla massicciata, adesso è barricato in casa con la moglie e i due figli e attraverso gli amici di famiglia fa sapere di "non volere rilasciare dichiarazioni". Ha già detto tanto. E lì, fra chi gli vuole bene, ripete come un disco rotto: "Ho schiantato cinque vite, penso solo a quei ragazzi". Ai pm per ora ha spiegato solo i momenti cruciali della notte del disastro. Essendo passato da persona informata sui fatti a indagato è stato invitato a fermarsi in attesa della nomina di un avvocato. "Pensavo che quel treno fosse già passato – ha spiegato agli inquirenti –. Visto o dedotto? "No, non l’ho visto direttamente".
Alle 23.30 Massa è in contatto con la dirigente movimento della stazione di Chivasso che comunica le fasce orarie in cui eseguire i lavori, ma non viene concesso alcun via libera al cantiere. Quando a mezzanotte l’addetto Rfi richiama per il nulla osta, il primo treno di linea è già transitato sul binario 1 ed è possibile che sia stato scambiato per il secondo, "la bomba", in arrivo in quel momento. In quell’ultima telefonata c’è la strage in diretta. Esiste il modulo M40 Int, quello che decreta l’interruzione della linea e il via libera per gli operai concesso dal settore Armamento di Rfi? Forse no, perché ormai sembra chiaro che l’autorizzazione a scendere sui binari sia stata solo verbale. Praticamente una prassi di notte, fa capire chi è del mestiere: "Sappiamo che si inizia a lavorare quando il capo ci dice a voce che possiamo farlo e ce lo dice non quando arriva un pezzo di carta ma quando i treni hanno smesso di passare. Fanno tutti così". Un modo per risparmiare tempo, evitare ritardi e penali? In questo caso con l’aggravante di avere addosso lo sguardo di uno dei responsabili formali del rilascio dell’autorizzazione?