Roma, 5 gennaio 2025 – Dopo quarantacinque anni il presidente della Repubblica – il primo cittadino d’Italia – non sa ancora chi ha ammazzato suo fratello. È il 6 gennaio del 1980 quando Piersanti Mattarella, presidente della Regione Sicilia, viene ucciso, mentre sta andando a messa con la famiglia. C’è una foto-simbolo, scattata da Letizia Battaglia che lavorava per L’Ora e che fu tra le prime ad arrivare sul luogo del delitto: si vede un giovane Sergio Mattarella (che diventerà presidente della Repubblica) mentre sostiene con le braccia il corpo del fratello che morirà di lì a poco. Ai funerali nella basilica di San Domenico, l’arcivescovo di Palermo, Salvatore Pappalardo, durante l’omelia pronuncia queste parole: “Perché è stato ucciso Piersanti Mattarella?”. E aggiunge poco dopo: “Non solo la matrice mafiosa, ci devono essere trame oscure”. Leonardo Sciascia, all’indomani del delitto, aveva scritto sul Corriere della Sera: “L’omicidio può essere stato commesso da un commando di terroristi”.
È il 1980, la guerra di mafia che porterà i Corleonesi al potere e un bilancio di sangue di oltre mille morti a Palermo, deve ancora scoppiare. Chi ha interesse a uccidere Mattarella? Il presidente della Regione Sicilia viene considerato, da sempre, un delfino di Aldo Moro. Ma il compromesso storico si è interrotto, almeno a livello nazionale, con l’omicidio del presidente della Democrazia Cristiana e con il corpo lasciato dalle Brigate Rosse nel bagagliaio di una R4 rossa e ritrovato in via Caetani, esattamente a metà strada tra Botteghe Oscure (sede del Pci) e Piazza del Gesù (sede della Dc). Quel processo politico che vede il graduale ingresso dei comunisti in compagini di governo locali con la Democrazia Cristiana, però non si è ancora definitivamente concluso. Anzi, in Sicilia si ragiona su un compromesso storico alla siciliana, un governo di larghe intese guidato da Mattarella. Ma il presidente della Regione viene ucciso prima che riesca ad aprire al Pci.
Stessa sorte un anno prima (1979) era toccata a Michele Reina, segretario provinciale della Democrazia Cristiana. E nel 1982 farà la stessa fine Pio La Torre che da Roma (era deputato dal 1972) tornò a Palermo per fare il segretario regionale del Partito Comunista. Tre delitti politici in tre anni. Mentre sull’omicidio La Torre non ci sono dubbi: è stata la mafia. Sugli altri due invece, rimangono molti punti oscuri. Che non sono stati mai chiariti.
Subito dopo l’omicidio Mattarella arriva una rivendicazione all’Ansa: Nuclei fascisti rivoluzionari, un gruppo neofascista. L’unico che dà un seguito concreto ai dubbi dell’arcivescovo Pappalardo è Giovanni Falcone. Nel 1985 prende in carico il fascicolo d’inchiesta e unisce, con il suo metodo, i puntini: Reina, Mattarella e Pio La Torre. Su Mattarella si spinge molto più avanti. Va in commissione antimafia due volte (1988 e 1990) e già la prima volta dice: “Ci sono indizi a carico della destra eversiva. Bisogna capire in quale misura la pista nera sia alternativa o si compenetri a quella mafiosa”. Falcone ha ricostruito quello che sarebbe accaduto quella tarda mattinata di 45 anni fa, affidandosi a una fonte dell’estrema destra (che poi risulterà essere Cristiano Fioravanti, fratello di Valerio) e alle testimonianze delle vedove Reina e Mattarella. La signora Mattarella dirà più volte di non poter dimenticare il volto del killer di suo marito. Gli occhi di ghiaccio. Ma Giusva Fioravanti e Gilberto Cavallini, leader del gruppo neofascista dei Nar, verranno assolti definitivamente nel 1999.
C’è un filo rosso però che lega una serie di omicidi e stragi in quel 1980. Un docufilm, Magma - Mattarella, il delitto perfetto, ora si focalizza su quell’anno. Dopo Mattarella viene ucciso a distanza di un mese Vittorio Bachelet, vice presidente del Csm, amico di Aldo Moro. Lo ammazzano le Br all’università (20 febbraio), davanti alla sua assistente Rosy Bindi. Mentre va in scena il congresso della Dc, noto come il congresso del preambolo. In cui passa la linea di Carlo Donat-Cattin e viene chiusa l’esperienza del compromesso storico, ostracizzato anche a livello internazionale. Ad agosto la bomba alla stazione di Bologna. Dopo anni di processi i giudici emiliani ricostruiscono il contesto della strage e recuperano anche ciò che Giovanni Falcone disse nel 1988 davanti alla commissione antimafia, parlando del delitto Mattarella e di come fosse convinto che ci fosse la mano della destra eversiva. L’onda lunga della strategia della tensione (destabilizzare per stabilizzare) in un Paese che se si guarda indietro vede che giustizia e verità spesso non sono andate di pari passo. O ancor peggio non sono mai arrivate. Come nel caso del delitto Mattarella.