Parabiago (Milano) – “Circa tre mesi fa, la signora Adilma, a me nota come Adi, mi aveva detto personalmente che non sopportava più il marito e che quindi lo voleva uccidere”. Inizia così, venerdì mattina, la confessione del quarantaquattrenne Mirko Piazza, una delle sei persone fermate dai carabinieri della Compagnia di Legnano per l’omicidio di Fabio Ravasio, travolto e ucciso da una Opel Corsa nera sulla provinciale 149 a valle di un piano killer che sarebbe stato architettato dalla moglie Adilma Pereira Carneiro, quarantanovenne brasiliana nativa di San Paolo, per impossessarsi dei suoi beni. Sono proprio quelle parole, in aggiunta a quelle riferite in precedenza dall’altro “palo” della banda Fabio Lavezzo, a dare la definitiva svolta all’indagine su quello che sembrava sulle prime un investimento con omissione di soccorso. Da lì l’accelerazione che porterà il pm della Procura di Busto Arsizio Ciro Caramore a disporre i fermi dei presunti responsabili del delitto, a cominciare proprio da Pereira Carneiro.
La riunione con l’amante
Stando al racconto di Piazza, ritenuto molto credibile dagli investigatori anche perché ha portato al ritrovamento dell’auto pirata, il primo contatto con la donna va in scena tre mesi fa, nella cucina di casa sua: la prima riunione operativa per architettare l’omicidio di Ravasio va in scena circa una settimana prima del fatto, avvenuto la sera del 9 agosto, a casa di Adilma: a quell’incontro partecipano pure, nella versione messa a verbale da uno dei rei confessi, anche il quarantasettenne Massimo Ferretti, titolare di un bar e amante della donna, e il cinquantunenne Marcello Trifone, ex compagno di lei.
“In quell’occasione – spiega Piazza – ci disse che non sopportava più Ravasio e che voleva che fosse ucciso. Aveva bisogno del nostro aiuto. Lei ci propose, in cambio della nostra partecipazione all’omicidio, di regalarci un appartamento per ciascuno in una cascina che si trova a Parabiago, vicino a una rotonda”. Il faccia a faccia avviene nella cucina dell’abitazione: “Tutti e tre accettammo di partecipare al progetto di omicidio”.
Gli altri incontri
Nei giorni successivi, avvengono altri incontri per pianificare il delitto, che dovrà avvenire lungo “la strada che porta verso il cimitero di Casorezzo”. Adilma, del resto, sa bene che da circa un mese il marito si reca in ufficio a Magenta in sella alla sua mountain bike e conosce perfettamente il percorso che fa per tornare a casa. Il piano, stando alla ricostruzione di Piazza e Lavezzo (fidanzato da quattro mesi della figlia maggiore della brasiliana), prevede che questi ultimi si appostino lungo il tragitto per dare indicazioni sul passaggio della bici di Ravasio.
La manovra col furgone
Il secondo, in particolare, dovrà dare il segnale decisivo, salendo a bordo di un furgone bianco e facendo inversione di marcia per bloccare la strada; è quella la manovra convenuta per dare il via libera agli “operativi”. Vale a dire agli autori materiali dell’investimento: le indagini hanno ricostruito che la Opel Corsa che ha ucciso il cinquantaduenne era guidata quella sera da uno dei figli di Adilma, il venticinquenne Igor Benedito, e che in macchina c’era pure Trifone, nonostante un testimone avesse ipotizzato nelle prime ore che al volante ci fosse una donna.
“Avevi i guanti?”
A incastrare Benedito e Trifone è una telefonata che proprio la donna ha fatto all’ex nei giorni scorsi, durante la quale ha spiegato all’interlocutore le cose da dire ai carabinieri per sviare i sospetti. “Tu avevi i guanti?”, chiede lei. “Guidava Igor e i guanti li aveva lui”, replica Trifone. “Ma la porta del passeggero l’hai toccata?”, incalza lei. “Ma sai quante volte sono salito su quella macchina lì? Eh sì, per aprire la porta sì”, la risposta. Quella “macchina lì” è la Opel Corsa nera di proprietà di Adilma, che ha cambiato alcune lettere della targa per evitare che le telecamere la ricollegassero a lei: i militari la ritroveranno venerdì mattina in un box di via delle Orchidee a Parabiago, lì dove vive una figlia della brasiliana, nascosta da alcuni mobili e con il parabrezza sfondato.
L’ultimo faccia a faccia
Stando a quanto accertato dai carabinieri, la sera del 9 agosto Adilma si è recata al negozio Mail Boxes di Magenta per incontrare il marito e probabilmente per monitorarne i movimenti ed essere sicura che se ne andasse al solito orario. L’occhio elettronico interno del punto vendita della società di spedizioni l’ha ripresa poco dopo le 19 con il socio di Ravasio: quello era l’ultimo giorno di lavoro, poi sarebbero partiti tutti per le ferie. Ma la Mantide di Parabiago ha disegnato un altro finale, tragico.
L’appostamento e l’incidente
Dagli atti dell’indagine, emerge che quella sera la Opel Corsa è comparsa sulla scena del crimine una ventina di minuti prima dell’omicidio, alle 19.27, appostata in una stradina laterale che conduce a un maneggio. Lì Benedito, secondo le accuse, ha atteso che Ferretti gli comunicasse il passaggio della bici di Ravasio per entrare in azione. Al momento giusto, l’utilitaria è piombata sulla provinciale, ha invaso la carreggiata opposta e ha travolto il ciclista, scaraventandolo contro il guard rail senza lasciargli scampo. Poi la fuga e il passaggio alle 19.59 e 57 secondi sotto il varco conta-targhe di via Parabiago a Busto Garolfo. Un frame che si rivelerà decisivo per individuare la macchina pirata e far partire un’inchiesta che si concluderà in maniera drammaticamente sorprendente due settimane dopo.