Roma, 15 luglio 2022 - I 5 imputati sono stati assolti. È questo il verdetto della sentenza di primo grado, attesa oggi, per l'omicidio Mollicone. Assolti l’ex maresciallo dei carabinieri, Franco Mottola, la moglie e il figlio: tutti e tre erano accusati di omicidio volontario e occultamento di cadavere della 18enne Serena Mollicone. Assolti anche il luogotenente Vincenzo Quatrale, per il quale erano stati chiesti 15 anni con l'accusa di concorso in omicidio volontario e istigazione al suicidio del collega brigadiere Santino Tuzi, suo grande amico, e assolto anche l'appuntato scelto Francesco Suprano, per il quale erano stati chiesti 4 anni con l'accusa di favoreggiamento. Un verdetto che arriva ventuno anni dopo la scomparsa e la morte della ragazza.
La sparizione e l'orrore
La studentessa del liceo socio pedagogico di Sora sparisce nel nulla ad Arce, in provincia di Frosinone, il primo giugno 2001. Il suo corpo verrà ritrovato domenica 3 giugno 2001 in località Fonte Cupa, all'interno di un bosco situato nel comune di Fontana Liri. Le indagini vengono portate avanti dai carabinieri della compagnia di Pontecorvo e per 45 giorni non porteranno a nessun risultato. Per questo motivo la procura di Cassino decide di affidare gli accertamenti alla polizia di Stato.
Il primo arresto
Trascorrono due anni d’indagini senza che l’opinione pubblica sia messa al corrente di qualsivoglia sviluppo investigativo sull'omicidio. Il fittissimo riserbo cade il 6 febbraio 2003 in seguito all'arresto di Carmine Belli. Carrozziere di Rocca d’Arce e conoscente della famiglia Mollicone, l'uomo è accusato del delitto. Ma è un buco nell’acqua clamoroso, come evidenzia la trafila giudiziaria. Prima il processo in Corte d’assise a Cassino nel 2004, poi quelli d’ Appello e davanti alla Corte di Cassazione scagionano completamente Belli che per diciassette mesi era stato recluso in una cella d’isolamento.
Dal suicidio alla svolta
Il clamoroso colpo di scena nella intricata vicenda giudiziaria dell’omicidio Mollicone, però, arriva l’11 aprile 2008, quando si toglie la vita il brigadiere dei carabinieri Santino Tuzi, all’epoca dell’omicidio in servizio nella caserma di Arce, il paese della vittima. Il sottufficiale pochi giorni prima di spararsi al petto racconta ai superiori dell’Arma e al magistrato dell’epoca Maria Perna di aver visto la ragazza entrare nella caserma dei carabinieri di Arce il 1 giugno del 2001 e di non averla più vista uscire. A questo punto finiscono indagate cinque persone: il maresciallo Mottola, ex comandante dell'Arma ad Arce, il figlio Marco, la moglie Anna Maria e gli altri militari in servizio all’epoca della scomparsa di Serena, Vincenzo Quatrale e Francesco Suprano.
La battaglia della famiglia
A sorpresa, a tre anni di distanza dal suicidio del brigadiere Tuzi, la procura di Cassino chiede l’archiviazione per gli indagati. La famiglia della Mollicone, in testa il padre Guglielmo, non ci sta. Si oppone alla mossa dei pm e ottiene dal gip del tribunale di Cassino, Angelo Valerio Lanna, il rinvio degli atti alla procura, condito dalla richiesta di ulteriori approfondimenti investigativi e scientifici.
Nel nome del padre
Il resto è cronaca di questi giorni. Con tre imputati alla sbarra in attesa di giudizio e un papà, che, con coraggio e determinazione, ha atteso invano per quasi vent'anni la verità giudiziaria sull’omicidio della figlia. La sua lotta per la giustizia si è fermata per sempre il 31 maggio 2020 all’ospedale Spaziani di Frosinone. Era in coma dal 27 novembre 2019 dopo essere stato colpito da un infarto.