Mercoledì 20 Novembre 2024
RICCARDO JANNELLO
Cronaca

Omicidio di Giulio Regeni. La verità dell’ex detenuto: "Era sfinito dalla tortura"

Il video di un palestinese: "Lo vidi in corridoio, era ammanettato e bendato". I particolari nella testimonianza ai giudici: i carcerieri usavano scosse elettriche.

Omicidio di Giulio Regeni. La verità dell’ex detenuto: "Era sfinito dalla tortura"

Giulio Regeni, ricercatore dell’Università di Cambridge, fu ucciso in Egitto tra gennaio e febbraio 2016

La lunga corsa della giustizia verso la verità per Giulio Regeni – il ricercatore friulano all’epoca ventottenne ritrovato cadavere il 3 febbraio 2016 in un fosso lungo strada fra Il Cairo e Alessandria d’Egitto alla periferia della capitale – è passata ieri da una drammatica testimonianza di un ex detenuto palestinese trasmessa da Al Jazeera e vista ieri in aula. L’uomo ha capito che il giovane italiano era stato torturato, ma non ha potuto notare segni sul corpo – come ha dichiarato di avere visto su un’altra persona - perché Giulio era vestito con una maglietta bianca e un largo pantalone blu.

Il compagno di reclusione lo ricorda il 28 e il 29 gennaio, cioè tre giorni dopo che ne venisse denunciata la scomparsa da parte di una studentessa perché non si era presentato a un appuntamento in piazza Tahrir per il compleanno di un amico e non era rintracciabile al telefono. "L’ho visto arrivare nel corridoio – ha raccontato il testimone nel video –, era a circa cinque metri da me, ammanettato con le mani dietro la schiena, con gli occhi bendati e accompagnato da due guardie carcerarie. Gli interrogatori duravano ore, fatti in arabo o in un dialetto locale; l’ho rivisto dopo, era sfinito, le guardie lo portavano a spalla verso la sua cella".

Pur senza parlare con Giulio, il palestinese ha affermato che "i carcerieri insistevano molto con la domanda su come avesse imparato le tecniche per affrontare l’interrogatorio. Erano nervosi, usavano la scossa elettrica e lo torturavano con la corrente. Erano presenti diversi ufficiali fra i quali il colonnello Ahmad, specializzato in psicologia. E anche il colonnello Tareq era presente". Tareq Sabir è uno dei quattro ufficiali dei servizi segreti egiziani – gli altri sono Athar Kamel, Husham Helmi e Magdi Sharif – che sono giudicati in contumacia per sequestro di persona pluriaggravato, concorso in lesioni personali gravissime e omicidio, ma non per le torture il cui reato all’epoca dei fatti non era previsto dal nostro ordinamento. Le autorità egiziane non hanno mai fornito i loro indirizzi e quindi la corte non ha potuto notificargli gli atti.

La figura del palestinese lascia però qualche dubbio: ha lui stesso dichiarato di essere stato "sequestrato, detenuto e poi liberato senza un perché e con la mia famiglia nignara della sorte". Ma non ha spiegato come era a conoscenza delle domande a Giulio. Sulla detenzione ha detto che "eravamo in isolamento totale, le celle erano molto strette, fredde, umide e maleodoranti. Nel periodo dell’interrogatorio non si riceveva cibo e durante la reclusione le pietanze venivano servite ma erano assolutamente scadenti. La sensazione era quella di stare in un sepolcro".

Nell’udienza è stata ascoltata anche la sorella di Giulio, Irene, 32 anni, commossa mentre ricordava quando sua madre le disse: "Hanno fatto tanto male a Giulio". Parlando del fratello, ha affermato che era "un ragazzo normalissimo, gli piaceva divertirsi, era un esempio per me e mi dava consigli, anche se talvolta eravamo in contrasto sulle cose, lui umanista io scienziata. Giulio è stato sempre appassionato di storia, studiava l’arabo. Dopo il corso triennale andò per la prima volta in Egitto, voleva conoscere culture diverse. Era entusiasta di andare lì e fare ricerca sul campo". Quegli studi che l’hanno portato alla morte, tradito da chi voleva aiutare a esprimere le proprie idee.