Roma, 12 novembre 2024 – “La violenza di genere non è mai calata di intensità e i femminicidi non sono mai diminuiti. Nel 2023 ce ne sono stati 120, uno ogni tre giorni, per intenderci, un dato analogo a quello degli anni scorsi sebbene nel 2023 siano diminuiti del 6%. Solo che se ne parla di più, i mass media ci fanno più titoli, queste storie finalmente trovano lo spazio in prima pagina”. A parlare è Francesco Menditto, procuratore a Tivoli e uno dei magistrati italiani più impegnati e sensibili sul problema della violenza di genere.
Procuratore, alcune vicende – come i casi Impagnatiello-Tramontano e Turetta-Cecchettin – hanno choccato l’opinione pubblica che ritiene non si faccia abbastanza. È una percezione giusta?
“È vero, bisogna fare ancora molti passi avanti per sradicare un fenomeno che è più diffuso di quanto si creda”.
Passi in quale direzione?
“Ci sono due livelli. Il primo riguarda un impegno di lunga durata, a lunga scadenza. E attiene a una formazione culturale, a un’attività che coinvolga politica, media, scuole, famiglie, parrocchie, associazioni. Occorre un cambio di mentalità e un cambio di passo perché ci troviamo di fronte a una violenza ‘strutturale’. Il secondo livello riguarda, invece, quello che io chiamo il ‘pronto soccorso’: cioè, l’intervento concreto e immediato sugli episodi che la cronaca quotidiana ci propone. E qui bisogna fare un’ulteriore riflessione”.
Di che tipo?
“Le leggi ci sono, tra le migliori al mondo, sono sufficienti. Quello che ci serve è una vera e nuova formazione per chi si occupa di questa materia. Possiamo fare tutte le riforme di questo mondo, ma se l’operatore non ha gli strumenti per ascoltare la donna, di comprendere la violenza che subisce, non saremo in grado di tutelarla”.
Già oggi gli operatori della giustizia fanno formazione.
“Occorre una formazione obbligatoria per forze dell’ordine, magistrati, anche avvocati che intervengono nei casi di violenza di genere. Per tutti gli operatori che intervengono in questo settore, nessuno escluso, oggi la formazione è facoltativa, occorrerebbe una riforma legislativa”.
Riguarda anche i magistrati?
“Tutti, nessuno escluso. C’è una sottovalutazione non solo nel momento dell’ascolto, ma in tutti i passaggi in cui la donna decide di denunciare. Inoltre, i processi non sono abbastanza veloci, ci siamo resi conto che i tempi lunghi lavorano a favore degli imputati, agevolando le ritrattazioni delle vittime. E infine le ‘procedure’ restano ancora farraginose e complicate e scoraggiano le vittime. Per questo occorre potenziare i centri anti violenza e l’avvocatura specializzata”.
I braccialetti elettronici sono finiti nell’occhio del ciclone dopo che alcuni non hanno funzionato.
“Su questo bisogna fare chiarezza: i braccialetti sono una soluzione importante e non bisogna fare passi indietro e ridimensionarli. La legge ora li ha resi obbligatori e se ne applicano molti di più di prima quando era facoltativo. Da cento si è passati a mille al mese e aumentano anche le criticità e molte sono in corso di soluzione, i braccialetti non sono apparecchi perfetti. Ma rendendoli obbligatori abbiamo altre 900 donne al mese maggiormente tutelate, anche perché il braccialetto è un deterrente e ha un effetto dissuasivo nei confronti degli imputati”.