di Giovanni Panettiere
È bastato che il Comitato tecnico scientifico evocasse lo spettro di zone rosse contro i focolai da variante Delta per mettere sulla difensiva fisici, epidemiologi ed igienisti. Scienziati che, dall’inizio della pandemia da Covid-19, compulsano curve epidemiche e grafici sull’incidenza dei contagi e che, allo stato attuale dell’infezione, non ravvisano le condizioni per chiudere a breve-medio termine regioni o province. A patto che non si perda tempo con la campagna vaccinale e nonostante la variante indiana sia balzata in un mese dal 4,2% al 16,8% dell’infezioni totali e, all’estero, abbia costretto al lockdown per due settimane la città australiana di Sidney e convinto Israele a ripristinare in fretta e furia l’obbligo d’indossare la mascherina al chiuso. Ma, stando all’ultimo decreto sulla divisione cromatica dell’Italia per fasce di rischio, quando scatterebbe la zona rossa in un territorio? Due le ipotesi previste: oltre 250 casi ogni 100mila abitanti su base settimanale oppure un’incidenza tra i 150 e i 250 nuovi positivi con un’occupazione dei posti letto in area medica pari al 40% e del 30% in terapia intensiva.
"Sono premesse che non si scorgono all’orizzonte in nessuna parte del Paese – puntualizza Roberto Battiston, docente di Fisica sperimentale all’Università di Trento ed ex presidente dell’Agenzia spaziale italiana–. Probabilmente il Cts voleva intendere la costituzione di cordoni sanitari in singoli comuni nei quali si verificano dei focolai. Casi simili si sono avuti di recente in Sicilia, ma non si tratta di zone rosse nel senso puntuale del termine. Probabilmente a settembre la variante Delta diventerà prevalente, attestandosi al 60-70% dei casi positivi. Vedremo allora come sarà la situazione, ma resto fiducioso". La bassa circolazione del virus (il tasso di positività si attesta allo 0,4%), con la flessione costante della curva epidemica, è sotto gli occhi di tutti. La situazione potrebbe subire un’inversione di tendenza nelle prossime settimane, complice l’alto livello di contagiosità della mutazione indiana, ma gli scienziati escludono nuove ondate. Ormai col Covid siamo chiamati a convivere e soprattutto ora abbiamo gli strumenti per farlo. "Quando la discesa della variante inglese, al momento predominante, sarà contrastata dalla crescita di quella Delta che arriverà al 20-25% dei casi totali, è possibile che assisteremo a un appiattimento della curva, con il ritorno progressivo di migliaia di casi giornalieri sulla falsariga del Regno Unito, che conta una media di 16mila nuovi positivi ogni 24 ore – è la previsione di Carlo La Vecchia, epidemiologo e ordinario all’Universita’ di Milano –. Tuttavia, i numeri dei decessi e dei ricoveri ospedalieri saranno cinque, dieci volte più bassi di quando eravamo nel pieno della seconda e terza ondata dovuta alla variante inglese". Merito della campagna vaccinale, anche se "non possiamo abbassare la guardia, dobbiamo completare in tempi rapidi il ciclo d’immunizzazione di quei 10 milioni d’italiani, over 50, 60 e 70, che ancora non hanno ricevuto la seconda dose. Purtroppo una sola iniezione non basta a coprirci in termini adeguati contro questa mutazione".
Sulla stessa lunghezza d’onda Paolo Bonanni, ordinario d’Igiene generale e applicata. Che non esita a togliersi un sassolino dalla scarpa sull’ultima sortita del Cts. "Più che parlare di zone rosse io avrei richiamato la necessità di vaccinarsi per gli over 50 che ancora non si sono sottoposti alla profilassi – incalza –. Sono loro che, come con le altre varianti, rischiano l’ospedalizzazione. La vaccinazione è l’unico modo per continuare a controllare questo ceppo d’infezione. Bisogna che tutti ne siano finalmente consapevoli".