Ancona, 10 dicembre 2014 - Il delitto di Numana è agghiacciante sotto tanti aspetti. C’è la morte innocente di un’anima di 5 anni, c’è la gelosia folle che spinge un uomo a fare fuoco contro quella che considerava la sola cosa che valeva veramente nella sua vita. Ma al tempo di Facebook c’è anche l’inquietante risvolto della strage annunciata. Ormai troppo spesso si affidano alla tastiera o al touch screen i sentimenti più intimi, le angosce quotidiane, le delusioni, le sofferenze.
Non sapendo, o facendo finta, che in una frazione di secondo una parola, un gesto, un’immagine, viene potenzialmente vista e commentata da migliaia di persone. In tempo reale tutti sanno chi sei, cosa fai, perché dici certe cose, che cosa hai veramente in testa o che cosa potresti fare. Daniele Antognoni su Facebook aveva svelato tutto.
Un profilo a cuore aperto: la passione per certi ideali politici, l’amore per le armi, i suoi affetti più cari. Frullati in un turbinio di parole, di messaggi ricevuti da persone che magari non avevano mai conosciuto nell’intimità quest’uomo, ma che comunque non mancavano di «postare» un commento, di incitarlo o denigrarlo. Eppure un quadro simile non può non costituire un campanello d’allarme. Al tempo di Facebook, con le chiacchiere e gli sfoghi tra amici messi nella soffitta dei ricordi, una frase del tipo «Non per vantarmi, ma anche oggi non ho ucciso nessuno», dovrebbe destare impressione, sgomento. Ma al tempo di Facebook anche i pensieri e i sentimenti vengono cancellati con un clic.